domenica 7 dicembre 2014

Le grandi domande dell'archeologia


-Cosa state cercando?

-Cosa state trovando?

-Avete trovato il petrolio?

-Avete trovato l'oro?

-Come fate a sapere che è antico?

-Se trovate il tesoro facciamo a metà?

-Sono i morti della peste?

-Sono i morti della guerra?

-Ma le ossa si conservano?

-Cosa sono quelle pietre?

-I romani sapevano fare i mattoni?
 
-Ma vi pagano per fare quello che fate?

-Ma avete dovuto studiare per fare quello che fate?

-E quello che trovate dove lo portate?

-Ma queste cose che trovate poi le mettete nei musei?

-Perchè lo fate?

venerdì 5 dicembre 2014

Un (nuovo) piccolo passo

Mentre noi ce ne stiamo qui ad ascoltare vagonate di vuote parole sul futuro che è solo l'inizio di non si sa bene cosa, forse oggi per la prima volta dopo tanto tempo io sono riuscito davvero a vedere l'inizio di un vero futuro. Ma per farlo ho dovuto mettermi a guardare con attenzione fuori dal nostro giardino, distogliendo lo sguardo dalle tristi e squallide vicende che nulla hanno di futuro, ma anzi sono ben piantate in un solido passato. Oggi nell'arco di poche ore un razzo è partito dalla base di Cape Canaveral con a bordo un'astronave priva di equipaggio che poche ore dopo è felicemente  ammarata nell'Oceano Pacifico. Tutta l'operazione è stata trasmessa in diretta on line dal canale streaming della Nasa. La cosa in se non sarebbe neppure eccezionale: razzi diretti nell'atmosfera ne partono con frequenza, sono passati pochissimi giorni da quando uno ha portato sulla stazione spaziale internazionale la prima astronauta italiana e le cronache delle ultime settimane hanno dato una certa rilevanza all'eccezionalità della missione Rosetta, che dopo dieci anni ha parcheggiato una sonda in orbita attorno ad una cometa su cui siamo pure atterrati; anche se qualcuno vi dirà che abbiamo speso miliardi e anni solo per arrivare su un sasso. Ma la missione test di oggi eccezionale lo è, perchè per la prima volta un modulo costruito per trasportare astronauti si è allontanato dalla terra più di ogni altro negli ultimi quaranta anni ed è rientrato con successo. Quello di oggi è il primo passo che l'umanità compie dopo tanto tempo per fare quello per cui si è evoluta davvero, guardare cosa c'è oltre il suo orizzonte. Personalmente sono piuttosto pessimista sulle possibilità di homo sapiens di conquistare l'universo, credo che ci siamo evoluti per le caratteristiche di questo pianeta che fra l'altro stiamo rovinando e che quello che c'è fuori di qui sia troppo ostile per noi. Ma d'altra parte credo anche che ormai l'umanità sia pronta per provare ad uscire. Il futuro si gioca anche andando verso Marte o verso le lune di Giove e Saturno nella speranza che dando una maggior conoscenza a tutti della meraviglia del nostro sistema solare ma anche della sua terribile inospitalità per noi magari tutti possano imparare ad apprezzare di più e a trattare meglio quello che abbiamo. E poi, insomma, oggi quel bambino nato il giorno che l'uomo scese sulla Luna ma era troppo piccolo per ricordarsene è contento.

mercoledì 26 novembre 2014

Cose meravigliose

26 novembre 1922

Le prime parole che howard Carter pronunciò dopo aver dato una sbirciatina all'interno della tomba di re Tut

martedì 18 novembre 2014

Alcune cose che penso di Interstellar (senza spoiler)


2001 Odissea nello Spazio è la pietra di paragone per qualsiasi cosa sia venuto dopo, non potrebbe essere diversamente. Non che la fantascienza mancasse nel cinema anche prima del 1968, ma il film di Kubrick cambiò ogni cosa, chiunque abbia affrontato il genere in seguito non ha potuto non tenerne conto e ogni film che trattasse la conquista dello spazio da allora ha dovuto pagare il prezzo del confronto con un capolavoro irraggiungibile. Ma la fantascienza è la fantascienza, e Kubrick è Kubrick; la fantascienza fatta da Kubrick (oltretutto spalleggiato da Arthur C. Clarke) gioca un altro sport, tutti gli altri sono destinati ad arrivare dietro. Questo è il punto e questo è il destino anche di Cristopher Nolan, per quanto il suo Interstellar sia, a mio parere un ottimo film, destinato a occupare un posto molto alto nella classifica del genere. Il fatto è che nessuno è mai stato capace di prevedere il futuro così bene come Kubrick nella rappresentazione della conquista spaziale. Solo un anno dopo l'uscita di 2001 l'uomo sbarcò sulla Luna e l'effetto di verosimiglianza del film con la realtà fu tale che ancora oggi complottisti e trasmissioni tv (vedi Mistero) ci propinano la storia che in realtà lo sbarco sulla Luna fu tutta una finzione e il regista delle false scene dell'allunaggio fu forse proprio lo stesso Stanley Kubrick. Kubrick aveva posto la sua missione su Giove poco più di 30 anni avanti a se. Nolan non ci dice quanto avanti nel futuro si svolga la sua storia, possiamo immaginare non molti decenni, entro questo secolo probabilmente. Non ci dice neppure cosa sia successo nel mondo arrivato sull'orlo del collasso con un'umanità prossima all'estinzione, lascia spazio all'immaginazione, e sapete che c'è? Va benissimo così, perchè ogni ipotesi è plausibile per spiegare alcune cose non dette, dalla guerra globale ai disastri e collassi ambientali. La fantascienza mi piace perchè non mi costringe a pensare troppo in termini di verosimiglianza e coerenza, al cinema c'è bisogno anche di questo. Quando la fantascienza parte da presupposti scientifici è anche meglio, ma rimane pur sempre fantascienza e non starò a fare troppo il polemico se alcune cose non vanno assolutamente. Alcune volte la quantità di informazioni scientificamente plausibili e sensate distribuite da un film del genere sono più di quelle che molte persone comuni apprenderanno in una vita intera (specie se guarda servizi giornalistici come quello che il tg4 ha recentemente mostrato sulla missione Rosetta), quindi va bene così. Se posso imputare qualcosa al film di Nolan forse è la lunghezza, quasi tre ore per lasciare anche alcune cose in sospeso sono forse troppe, ma personalmente non mi sono annoiato e alcune scene le ho trovate incantevoli. Inoltre mettete in un film concetti come singolarità e orizzonte degli eventi e farete di me un bambino felice. Credo che Interstellar sarebbe materia eccezionale per una miniserie televisiva, genere che sta sempre più entrando in competizione con il cinema tradizionale. Una versione della storia spalmata su una dozzina di episodi (pensate a True Detective per esempio) consentirebbe di non preoccuparsi più dei limiti di tempo imposti dalla durata di un film al cinema e al contempo permetterebbe una maggior descrizione dei personaggi e anche una miglior spiegazione di alcune situazioni che hanno dato noia a molti a cui il film non è piaciuto. L'unico difetto della televisione è che non potrebbe mai sostituire la gioia per gli occhi che solo uno schermo cinematografico può offrire.

sabato 8 novembre 2014

Lucy



Il cervello umano è un organo veramente straordinario, giunto all'attuale livello di perfezione grazie a milioni di anni di evoluzione. Nonostante rappresenti soltanto il 2% di tutto il corpo umano, per funzionare correttamente al meglio delle sue possibilità il cervello necessita del 20% del complessivo fabbisogno energetico dell'organismo. Al più alto livello delle sue potenzialità un cervello normale sviluppa una quantità di energia pari a quella di un quadricipite al massimo dello sforzo o, come nel caso di alcuni, di un dito medio. Nonostante questo enorme dispendio di risorse il cervello umano non è mai in grado di far funzionare più del 2% dei suoi neuroni contemporaneamente, altrimenti la quantità di glucosio necessaria si esurirebbe in modo da mandare in collasso il corpo e ci farebbe svenire. In alcuni casi si attivano nel cervello aree che di solito non sono utilizzate, questo succede nei soggetti affetti di "Sindrome del savant" per esempio, capaci di attività spesso eccezionali, al limite del miracoloso ma al prezzo di notevoli difficoltà che rendono loro pressochè impossibile un'esistenza normale. Luc Besson nel suo ultimo film, interpretato da Scarlett Johansson, parte dall'ipotetico ma generalmente conosciuto assunto per il quale ognuno di noi userebbe solo una minima parte delle proprie capacità cerebrali. In realtà ognuno di noi usa esattamente la parte di cervello che gli è possibile, no, questo non è vero, molti ne usano meno. Comunque, il film di Besson è una travolgente corsa di un'ora e mezza, corredata di grande quantità di violenza sanguinaria, inseguimenti spettacolari e immagini di una natura meravigliosa sparse qua e là che sono forse il vero senso di quello che Besson vuole dire allo spettatore. La storia non è fondamentale, godetevi lo spettacolo, non fatevi troppe domande di carattere eminentemente scientifico, neppure la Lucy preistorica che si vede ad un certo punto è veramente la prima donna, in realtà appartiene ad un ramo evolutivo che non ha portato a Sapiens. Besson usa strumenti tipici del cinema d'azione che gli appartengono e usa sapientemente perchè gli interessa dirci che in fondo non siamo altro che una piccola cosa in questo universo che è immenso, meraviglioso e non riusciremo mai a comprendere del tutto. Questo dovremmo tenerlo sempre presente.

venerdì 7 novembre 2014

Riaprire quella porta


Ieri ho scritto un post qui dopo un sacco di tempo che non lo facevo e che addirittura non aprivo la pagina del blog. Ecco, devo dire che mi sono sentito un po' in colpa: è stato come aprire la porta di una stanza abbandonata nella quale sono custodite cose alle quali sono piuttosto affezionato e che stavo quasi dimenticando. Così ho pensato di dare un po' di aria alla stanza, perchè ha un qual certo aroma di chiuso e ammuffito e magari lascio la porta aperta, così ogni tanto mi ricordo di entrarci

giovedì 6 novembre 2014

"O'calippo il mio Filippo mi accontenta e me lo da"


Solo poche righe per commentare il servizio fotografico pubblicato da "Chi", noto prestigioso settimanale di opinione, sulle abitudini alimentari del ministro Madia, servizio di cui ieri si è molto discusso sul Twitter. Premetto che le battute volgari e sessiste sono squallide e fuori luogo, e lo sono anche quando vengono fatte nei confronti dell'attuale fidanzata dell'anziano ex leader a cui non si può certo imputare la giovanile e innocente partecipazione ad un video musicale di noto cantante partenopeo la cui canzone densa di contenuti è citata in parte nel titolo di questo post. Premesso questo il punto è un altro e riguarda il modo con il quale le notizie vengono costruite e diffuse, che è tipico di una certa categoria di presunti giornalisti specializzati in fango. In questo caso la cosa che veramente ho trovato quantomeno in malafede è stata la reazione alle critiche del responsabile del noto settimanale, che su twitter ha commentato con l'hashtag #duepesiduemisure  le fotografie colte di rapina del ministro Madia intenta a mangiare un gelato all'interno della propria auto con il video di cui sopra nel quale la fidanzata di Papi si destreggiava (non da sola) con un Calippo. Adesso qualcuno di quelli (compreso il signor Cruciani) che ieri hanno notato che c'era un sacco di gente che si scandalizzava per le foto alla Madia mentre invece  magari non aveva nulla da ridire sul fare battute becere sulla Pascale mi fa il favore di spiegarmi come è possibile paragonare le due cose, premettendo, lo ripeto che le battute e i commenti sessisti sono sempre un'idiozia. Resto in attesa, grazie.

venerdì 29 agosto 2014

Suvvia, per un po' di imperialismo

Guardate che zar Vladimir non si sta mica inventando niente. La sua politica non è nient'altro che la prosecuzione di quella che i suoi predecessori prerivoluzionari (ma anche quelli rivoluzionari) hanno perseguito per secoli con l'intento di far sventolare la doppia aquila un po' dappertutto.
"Ovunque si innalzi la nostra bandiera non dovrà essere ammainata mai più" Con queste parole nella prima metà dell'ottocento lo zar Nicola aveva ammonito il figlio Alessandro II, fedele ad un principio che si perpetuava fin dal regno di Pietro il Grande. E così Alessandro II non doveva mica farsi troppi pensieri, e tutti i suoi ufficiali che prestavano servizio alle frontiere asiatiche del suo regno si potevano sentire liberi di fare più o meno quello che gli pareva. il modus operandi russo era all'incirca, prima innalzare l'aquila a due teste, e poi chiedere il permesso. Raramente i comandanti che adottavano questo sistema venivano sconfessati dal potere centrale. Così facendo, all'interno di quello che gli storici hanno poi chiamato "il grande gioco" i russi nell'ottocento si papparono un sacco di territori, roba che neanche a Risiko. Poi le cose sono andate come sono andate. Adesso il sistema è ancora quello, le truppe russe se ne vanno a passeggio in territorio ucraino? E che problema c'è, prima alza la bandiera e poi chiedi permesso

mercoledì 2 luglio 2014

Perchè cambiare?

A proposito dell'italica propensione al cambiamento e al ringiovanimento dei quadri dirigenti all'interno delle istituzioni o degli apparati preposti al progresso e buon funzionamento della nazione, mi piace riportare alcuni dati che prendo direttamente dal bellissimo libro che Benedetta Tobagi ha dedicato alla strage di Brescia e alle sue vittime ("Una stella incoronata di buio"). In un capitolo dedicato alle tensioni che percossero questo paese nella sua travagliata storia del dopoguerra la Tobagi si sofferma su una frase pronunciata da Mario Scelba, famigerato ministro dell'interno e presidente del consiglio negli anni del boom economico, anni che videro però insieme al boom tensioni e scontri feroci nelle piazze. Dal 1946 al 1960 rimasero uccisi in scontri con la polizia almeno 122 lavoratori. Scelba, più volte a capo del ministero responsabile dell'ordine pubblico disse: "Mi accorsi che per mantenere l'ordine non occorreva fare leggi speciali, bastava utilizzare quelle che c'erano". E quelle che c'erano funzionavano proprio bene perchè  erano leggi fasciste, messe in pratica da personale di formazione fascista. Nel 1960, quindici anni dopo la fine della guerra e dopo vent'anni di regime fascista in Italia 62 prefetti di prima classe su 64 erano rimasti gli stessi dalla dittatura, quelli di seconda classe erano 64 su 64, i viceprefetti 241 su 241, i questori 135 su 135. Le cose cominciarono a cambiare solo negli anni settanta con il naturale ricambio generazionale e grazie forse anche ai grandi cambiamenti globali della fine degli anni sessanta, ma questi numeri la dicono lunga sia sulla natura realmente democratica non pienamente risolta della storia repubblicana che ha mantenuto ombre e ambiguità trascinandole per decenni, sia sulla resistenza al cambiamento, tratto distintivo tuttora persistente, checchè se ne dica.

venerdì 6 giugno 2014

L'Europa delle invasioni


Di fronte alle spiagge sulle quali il 6 giugno del 1944 decine di migliaia di soldati alleati sbarcarono per strappare l'Europa ai nazisti si trova un piccolo paese, famoso per una delle opere più importanti che ci ha lasciato il medioevo, Bayeux. L'arazzo di Bayeux è l'orgoglio e il simbolo della Normandia, racconta di un'altra invasione, in senso inverso, quella che portò i Normanni nel 1066 a conquistare l'Inghilterra, e lo fa in modo dettagliato per oltre settanta coloratissimi e vivacissimi metri di lunghezza.  Già Napoleone se ne era impossessato per esaltare i suoi generali e far loro invadere l'Inghilterra. Essendo una delle più grandi rappresentazioni di potere e conquista rivolte contro gli inglesi era chiaro che avrebbe solleticato l'appetito dei nazisti e infatti Goering provò a impossessarsene. I Francesi avevano in modo provvidenziale già messo al sicuro l'arazzo nel 1940 e per quattro anni temporeggiarono di fronte alle pressanti richieste tedesche di ottenerlo, fino alla fine di giugno del 1944, quando i tedeschi, già peraltro piuttosto occupati a contenere l'invasione, trovarono comunque il tempo per  requisirlo e lo portarono al Louvre in attesa di trasferirlo in Germania. A metà di agosto dello stesso anno, in una parigi vicina all'insurrezione due ufficiali delle SS provenienti da Berlino si presentarono al governatore militare, il generale Von Choltitz. La storia è raccontata da Rober Edsel in "Monuments Men" e in parte anche da Anthony Beevor nella sua monumentale opera sull'invasione della Normandia. Il generale Von Choltitz portò le due SS sul balcone del suo ufficio e mostrò loro il tetto del Louvre distante poche decine di metri, pieno di partigiani con una mitragliatrice che sparava sui tedeschi, disse loro che l'arazzo era là, nei sotterranei. Le SS fecero presente che il museo era occupato dai partigiani al che il generale rispose: "lo è, e anche molto, è diventato il posto di comando dei partigiani". I due ufficiali chiesero come era possibile prendere l'arazzo e il generale replicò (forse ironicamente aggiungo io) che loro erano l'elite del miglior esercito del mondo e che lui sarebbe stato lieto di fornir loro copertura mentre loro avrebbero dovuto solo attraversare Rue de Rivoli entrare nel palazzo prendere l'arazzo e venir via.
Quando quattro giorni dopo gli alleati arrivarono in città l'arazzo di Bayeux era ancora al sicuro nei sotterranei del museo. Dei due ufficiali orgoglio della pura razza ariana invece si erano perse le tracce.

mercoledì 4 giugno 2014

Memento

Qualche volta mi vado rileggere cose che avevo scritto qui in passato in occasione del ricordo di certi eventi. Questo l'avevo scritto l'anno scorso, trovo che vada ancora bene.

La scorsa estate sono stato quasi un mese a Pechino, che è una città straordinaria della quale si potrebbe parlare ore, così come della Cina contemporanea per la verità. Naturalmente sono stato anche a Tien An Men. La piazza è veramente enorme, ed è una fortezza, nella quale si entra solo dopo controlli come quelli di un aereoporto. Le telecamere di sorveglianza uno ha la sensazione di averle attaccate anche al sedere e la quantità di poliziotti in borghese è senz'altro maggiore di quella dei poliziotti in divisa che sono già un'enormità. La sensazione precisa è che una cosa come quella del 1989 nella Cina di oggi sia assolutamente impossibile da ripetersi. Probabilmente una rivolta popolare in quella piazza lo sarebbe anche se i controlli non fossero così maniacali, alla maggior parte dei cinesi sembra che le cose vadano bene così come sono. Piazza Tien An Men non sembra proprio lo stesso posto dove avvenne una strage della quale probabilmente non conoeceremo mai le vere dimensioni, i cinesi sono bravissimi a ripulire le tracce. La foto quassù è impressionante, siamo sempre stati abituati a vederne un particolare in dettaglio, ma quell'omino laggiù non si stava "semplicemente" opponendo a due o tre carri armati. Se possibile questo ne accresce ancora il coraggio e quando a qualcuno viene da usare la parola "eroe" un po' così, a cazzo direi, sarebbe utile si guardasse questa foto.

mercoledì 28 maggio 2014

Brescia 28 maggio 1974 (tranquilli, non c'è fretta, sono solo quaranta anni)

Io ogni volta che sento leader mentecatti che parlano a cazzo di colpi di stato non posso fare a meno di pensare ai tempi in cui le forze oscure che nell'ombra operavano progettando veri colpi di stato (del tipo che potete chiedere a cileni e argentini) facevano questo.
Per conto mio non smetterò di presidiare quella piazza in attesa del giorno della verità.

sabato 24 maggio 2014

Volete l'Europa?



Torno su questa cosa delle elezioni ancora una volta e poi basta, giuro. E' che proprio questa cosa di votare per un istituzione di cui evidentemente non frega niente a nessuno perchè sono tutti preoccupati di contarsi per poi farsi la guerra in casa dopo proprio non mi va giù. Vogliamo fare davvero l'Europa cominciando dalle elezioni? Cominciamo con il mettere le forze politiche in condizione di non poter mischiare le faccende europee con quelle interne, è facile, si può cominciare da quello che già esiste. Non è un problema solo italiano probabilmente, in tutti i paesi queste elezioni vengono svolte con sistemi proporzionali e i singoli partiti se ne servono per valutare le proprie "forze". Per disinnescare questo sistema e mettere tutti in condizione di pensare in prospettiva europea basterebbe che tutti si presentassero sotto le insegne di forze politiche esclusivamente europee. Esistono già. Le due grandi forze principali a cui fanno riferimento i principali partiti di ogni nazione sono il Partito Socialista Europeo e il Partito Popolare. Basterebbe che tutte le forze che vi si riconoscono abbandonassero per un momento i loro colori e le loro insegne nazionali per convogliare all'interno di forze più ampie e quelli che non si riconoscono in queste potrebbero federarsi in forze più consone alle loro caratteristiche, chessò, gli euroscettici, i verdi o le sinistre europee, i nazionalisti, quello che gli pare. In Italia quest'anno la cosa che ci va più vicina è l'agglomerato di forze che si è riunite attorno al greco Tsipras, ma in queste condizioni equivale più o meno ad un suicidio politico, ed è un peccato. Sarò pure un sempliciotto, ma penso che per costruire un patrimonio comune questa sarebbe una delle cose da cui cominciare e così, fino a quando le elezioni per il parlamento europeo saranno solo un pretesto per risolvere questioni di cortile, io non ci starò.

venerdì 23 maggio 2014

Chiamale se vuoi, emozioni


Le emozioni formano la coscienza e la consapevolezza politica? Io temo di sì. Capipopolo urlatori, pseudoleader piacioni e abili venditori di sogni a buon mercato porta a porta impegnati da giorni a elemosinare voti giocando sulle emozioni più che sugli argomenti come vanno considerati? Paura, risentimento, livore, sospetto, speranza sono sensazioni che dovrebbero bastarci per determinare delle scelte o dovrebbero essere piuttosto dei campanelli che ci inducono a riflettere meglio prima di decidere o prendere posizione? Mi ci ha fatto pensare un interessante articolo di Carla Bagnoli sull'ultimo domenicale del Sole24ore. Si tratta della recensione di un libro scritto da un giovane filosofo inglese, Michael Brady sul ruolo delle emozioni.
Grazie al contributo portato dallo sviluppo delle neuroscienze oggi siamo in grado di considerare le emozioni come fenomeni molto più complessi e meno spontanei. Nel suo libro Brady insiste sul contributo che le emozioni possono portare all'aumento della conoscenza e della consapevolezza. Generalmente le emozioni sono sempre state considerate  per lo più un ostacolo alla razionalità, contribuendo alla formazione di credenze od opinioni sbagliate. L'articolo cita ad esempio il passaggio di un famoso film di Sidney Lumet ("La parola ai giurati") nel quale undici componenti di una giuria formata da dodici persone sono condizionati da emozioni indotte di paura, rabbia e risentimento a considerare colpevole un giovane accusato di aver ucciso il padre, fino a quando il dodicesimo menbro, giocando anch'esso su un'emozione, non li convince a rivedere le proprie convinzioni arrivando così ad invertire la decisione presa. Le emozioni dunque possono orientarci facilmente ad una scelta che potrebbe rivelarsi sbagliata, perciò dovremmo imparare a considerarle uno strumento per una valutazione critica del nostro pensiero veicolandole all'interno di una riflessione che potrebbe portarci a spiegarne la causa e rivedere le nostre scelte. In effetti non sembra una cosa facile.
Sullo stesso giornale c'era anche un altro articolo piuttosto stimolante, scritto da Gilberto Corbellini. Corbellini parte da un presupposto interessante: una persona con una convinzione è una persona difficile da cambiare, quindi scordatevi di far cambiare idea ad un grillino medio o a un fan sfegatato di Berlusconi, per dire. Secondo il principio di "dissonanza cognitiva", elaborato dallo psicologo Leon Festinger negli anni '50, se mostrate ad una persona fonti e numeri che smentiscono la sua convinzione metterà in discussione le vostre fonti e più sarete logici e convincenti meno sarete capiti, in particolare se forti emozioni non abbiano formato la sua convinzione, aggiungo io.

mercoledì 21 maggio 2014

Questa volta no


Di campagne elettorali avvilenti ne abbiamo viste parecchie, specie negli ultimi vent'anni, sarete d'accordo credo. E' inutile tornarci sopra, ma in questo paese tutti sembrano aspettare spasmodicamente questo momento per dare il peggio di sè e alla gente lo spettacolo piace pure. Ad ogni modo con l'ingresso a piedi pari di Grillo in quest'ultima mi pare che abbiamo toccato l'apice per quel che riguarda lo stile e gli argomenti che caratterizzano i principali protagonisti. Sorvolerò sull'ipocrisia dell'argomento "Europa" di cui in realtà importa poco un po' a tutti; le europee, con il sistema proporzionale, servono solo a ridefinire i numeri su cui possono contare le forze politiche in funzione della politica interna. L'Europa non potrebbe essere più lontana. Personalmente non mi presterò a questo gioco, non mi avranno. In altre circostanze in passato ho pensato che anche l'esercizio del voto nullo o della scheda bianca potesse essere utile a dare un segnale all'interno di un contesto di partecipazione democratica. Ma questa volta no, non premierò l'ipocrisia, facciano senza di me.

giovedì 15 maggio 2014

Nothing but the rain

Potente Giove, Padre degli dei immortali e Padrone dei destini dei mortali. O Signore del tuono e della folgore, ascolta ancora una volta questa misera voce che ti invoca. Ho dato un'occhiata alle previsioni e non posso certo credere che Tu, Dispensatore di acque, abbia deciso di non rovesciare fiumi dal cielo proprio questo fine settimana. Come ogni anno io elevo a te la mia preghiera perchè tu punisca l'ardore di quei mortali superbi e presuntuosi alla guida di carri rumorosi e inquinanti che solcheranno le strade di questo lembo di terra in questi giorni. Non far mancare loro, o Padrone di tutte le tempeste, di sentire la tua voce. Ancora una volta, se esaudirai queste preci, non mancherò di dedicarti sacrifici e libagioni.
P.S. non è difficile, di acqua ne hai mandata tanta negli ultimi fine settimana, fai uno sforzo

mercoledì 14 maggio 2014

Ci sono giorni


Ci sono giorni nei quali tutto è assolutamente chiaro, talmente chiaro, evidente e cristallino che non esistono parole per descriverlo. E' una sensazione che provate sulla pelle, nelle narici, attraverso gli occhi. Non ci sono molti giorni simili nel corso di un anno, sì e no una decina. L'unica condizione necessaria è trovarsi all'aria aperta e probabilmente questo è il motivo per cui per molti non è facile trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Ma quando ci siete lo sapete, e immediatamente vi rendete conto di qual è il vostro posto nel tutto; ve lo dicono la luce il vento, uccelli che vi danzano intorno e fino a poche settimane prima non c'erano e improvvisamente vi coglie un gran desiderio di sapere da dove vengono. Ve lo dice il profilo delle montagne, così lontane ma all'apparenza tanto vicine da farvi venir voglia di mettervi a camminare per raggiungerle perchè sembrano lì e chissà cosa c'è oltre. Ogni senso per un momento è in armonia con tutto ciò che vi sta intorno e intuite perchè l'evoluzione ci ha fatti così. Ci sono giorni nei quali mi è perfettamente chiaro da dove vengo, e non ho bisogno d'altro, se non fosse per quella dannata corteccia prefrontale

sabato 3 maggio 2014

Cultura superiore?

Theresa Wallach e Florence Blenkiron furono due donne coraggiose e animate da grande spirito avventuroso. Poco più che ventenni, nel 1935, intrapresero un viaggio di sette mesi che le portò da Londra a Città del Capo attraverso il continente africano, a bordo di una moto. Nessuno aveva mai tentato prima un'impresa simile, loro lo fecero su una motocicletta con sidecar trainando un carrello. Non fu un viaggio privo di imprevisti come è facile immaginare; Theresa Wallach ne tenne un diario da cui molti anni dopo trasse un libro che diventò fondamentale per i motociclisti di tutto il mondo. L'Africa per la quale viaggiarono le due ragazze poi non assomigliava per nulla a quella di oggi, era più simile a quella del mappamondo del Risiko, un enorme continente diviso fra tre o quattro grandi potenze europee colonizzatrici che se lo erano spartito, ne avevano fatto un po' quello che pareva a loro e poi andandosene contribuirono a lasciarlo nelle condizioni in cui è oggi. L'Africa degli anni trenta era ancora abitata da popoli che non erano ancora stati del tutto contaminati e "civilizzati" secondo i dettami del mondo occidentale, vivevano secondo elementari codici etici non scritti che potremmo definire primitivi e tribali ma che erano improntati da un fondamentale principio di onestà. Durante l'attraversamento dell'attuale Ciad, al tempo colonia francese, le due viaggiatrici inglesi ebbero un problema che le costrinse ad abbandonare per qualche settimana la moto legata ad un albero lungo un sentiero mentre attendevano di poter avere pezzi di ricambio che avrebbero loro permesso di proseguire il viaggio. Passarono quel periodo ospiti presso una missione religiosa americana e per tutto il tempo ogni persona che passò riferì di aver visto la moto sempre nello stesso posto assolutamente inviolata. Negli stessi giorni un residente del luogo denunciò il furto della sua bicicletta e accusò uno dei ragazi che studiava nella missione. Il ragazzo subì un processo e confessò al giudice che la bicicletta l'aveva effettivamente presa ma in vita sua non aveva mai pensato all'azione del "rubare" e al significato della parola nel senso che gli veniva contestato, mai fino a quando non ne aveva scoperto l'esistenza leggendo i dieci comandamenti.

sabato 8 marzo 2014

Fuori tempo massimo

Questo è un post che si inserisce nella categoria di quelli scritti quando le acque si sono calmate.
Qualche volta mi capita di parlare di cinema in questo spazio, non sono un professionista della critica cinematografica e neppure sono particolarmente bravo a scrivere, ma poichè un po' di tempo a studiare di cinema all'università ce l'ho perso, qualche volta ho la presunzione di saperne qualcosa, o ancora di più che a qualcuno potrrebbe interessare quello che ne penso io. Quando ho visto la Grande Bellezza al cinema ho pensato immediatamente al post che mi sarebbe piaciuto scrivere sulle sensazioni che ne avevo ricavato ma poi la cosa mi è scivolata via e ho lasciato stare. Nel frattempo il film di Sorrentino ha proseguito il suo corso vincendo premi nel generale disinteresse del pubblico italiano che non se lo era filato troppo alla sua uscita quando aveva pure ricevuto critiche piuttosto severe, fino ad arrivare al coronamento con l'Oscar seguito da un passaggio televisivo nel tempo dei social network, che tutti trasformano in critici e specialisti di qualsiasi cosa. Rivedendolo in televisione sono riaffiorate quelle sensazioni che già avevo colto al cinema quando lo avevo trovato un film molto complesso, leggibile su diversi piani, nel quale la grande bellezza di Roma faceva da sfondo al grande squallore di una società umana in disfacimento mollemente sdraiata sugli splendori di un grande passato, un film che certo trovava immediatamente facili paragoni in Fellini ma nel quale io esteticamente ci vedevo anche molto Malick, insomma, un film non facilmente liquidabile con facili e sbrigativi giudizi. L'altra sera ho guardato il film, sciaguratamente spezzettato dalla pubblicità, ma si sà,  la tv commerciale e pecunia non olet, e nel frattempo assistevo su twitter alla divisione di un paese di santi, poeti, navigatori e all'occorrenza critici cinematografici, e mi è passata un po' la voglia.

venerdì 28 febbraio 2014

Eccellenze italiane

Stamattina un servizio del GR2 riportava una notizia sulla giornata europea della parità contributiva di genere che ricorre il 28 febbraio perchè è il cinquantanovesimo giorno dell'anno e 59 sono appunto i giorni che mediamente una donna dovrebbe lavorare in più di un uomo in un anno per raggiungerne lo stipendio. Oh, questa è una cosa che ho scoperto poi perchè il servizio del GR2 mica l'ha detto. Quello che ha detto, dandone una certa rilevanza, è che l'Italia è ai primi posti fra i paesi europei con la minore differenza retributiva di genere, che in parole semplici, per non inquietare Giovanardi, significa che non c'è grande differenza fra quello che guadagnano gli uomini e le donne e questa è una buona cosa. Tutto bello quindi, se non fosse solo che, per completezza di informazione, forse il servizio avrebbe dovuto aggiungere che questo succede anche perchè gli stipendi italiani sono fra i più bassi d'Europa e che l'Italia è uno dei paesi con le percentuali più basse di occupazione femminile. Insomma per forza gli stipendi sono vicini, più bassi di così.

lunedì 27 gennaio 2014

L'Inferno di Dante era uno scherzo

Al netto di tutta la retorica che viene riversata ogni anno in occasione di questa giornata, delle candeline accese, delle visite ai luoghi della memoria, dei passaggi televisivi di film iconici,ma in qualche modo filtrati o depurati dalla necessaria finzione narrativa, continuo a pensare che le parole dei testimoni sopravvissuti all'esperienza spaventosa e razionalmente indescrivibile della Shoah, lette o ascoltate rappresentino ancora e sempre la forma più efficace di trasmissione della memoria. Secondo Rachel Ertel, una delle più importanti studiose viventi di cultura ebraica e yddish la scrittura dei sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti è “insieme un doloroso sforzo di anamnesi e di veggenza che mescola ricordi reali e immaginari al mai visto e al mai detto”. Primo Levi aveva scritto che loro, i sopravvissuti, altro non fossero che falsi testimoni; i veri di quell'esperienza non potevano essere che i morti. Questa sua frase è una di quelle che fanno gioco ai negazionisti, a coloro che continuano a gettare l'ombra del sospetto e ad avvolgere in una cortina di fumo quegli eventi sempre più lontani. Ma d'altra parte lo stesso Levi sapeva perfettamente che solo i vivi possono testimoniare e lui stesso non avrebbe scritto le pagine che ha scritto se fosse stato davvero convinto di essere un falso testimone. Primo Levi visse la sua vita dopo quell'esperienza tormentato dalle ombre, forse dallo stesso senso di colpa provato da molti di quelli che non seppero dare risposta alla domanda “perchè io no”. La sua fine tragica è l'evidenza di qualcosa che chi non ha vissuto quell'esperienza non può neppure immaginare. La verità è che in un vicinissimo futuro non esisterà più una memoria personale dei campi e nessuno potrà più ascoltare la voce diretta di qualcuno che descrive l'orrore delle baracche, delle infermerie, del lavoro nei campi, dell'odore di morte percepibile a chilometri di distanza dai forni crematori, della cenere che pioveva dai camini. Probabilmente allora solo la finzione narrativa, letteraria o cinematografica sarà in grado di perpetuare la memoria, con tutti i rischi che ne conseguono. Ma a prescindere dalle distorsioni che un simile trauma possa aver provocato sulla mente di chi ne è stato protagonista e sulla sua memoria poche cose sono efficaci come il racconto di un'esperienza diretta, come quella per esempio che vissero i sopravvissuti agli esperimenti del dottor Mengele ad Auschwitz. I nazisti videro in Auschwitz un luogo perfetto per esperimenti sugli esseri umani, nessun limite etico, nessuna responsabilità. La personalità di Mengele, appassionato al mistero dei gemelli e affascinato dall'idea di essere padrone della vita delle persone, impersona perfettamente la crudeltà che fu nutrita dalla mistica della razza superiore ariana. Joseph Mengele morì in Brasile nel 1979 da uomo libero senza aver mai pagato per le sue colpe e ancora fedele al suo credo nazista. Nel 1985 fu processato in contumacia in Israele senza ancora che si sapesse che era già morto, in quella occasione fu possibile ascoltare direttamente le testimonianze di alcuni sopravvissuti ai suoi esperimenti. Ne citerò solo un paio.
Elena Hammeresh arrivò ad Auschwitz dall'Ungheria nel dicembre del 1943, queste le sue parole: “Mengele era solito venire ogni tanto alla baracca dei gemelli, prenderne una coppia e, con un pretesto, portarla direttamente al forno crematorio. Qui li uccideva con iniezione di fenolo al cuore. Squartava poi il loro corpo ancora caldo e immergeva gli organi in sostanze chimiche che poi spediva in Germania alle università. Mengele fece degli esperimenti sugli occhi dei bambini. Oltre alle gocce, che egli inoculava loro regolarmente, fece delle iniezioni direttamente nelle pupille. I bambini sottoposti a questi trattamenti persero la vista e morirono quasi tutti. Gli occhi venivano poi asportati e inviati in Germania (…) Le ricerche di Mengele riguardavano la genetica ereditaria e avevano lo scopo di scoprire il modo di riprodurre e moltiplicare la razza ariana, per questo faceva esperimenti sui gemelli.”
Vera Kriegel arrivò ad Auschwitz all'età di cinque anni nel 1943:
Mengele ci fece mettere da parte perchè vide che poteva fare su di noi degli esperimenti. Camminavamo senza sapere dove stavamo andando. Ero molto confusa. Ero molto piccola. A un certo punto vidi una grande buca dove ardeva del fuoco, dove buttavano i bambini piccoli che erano stati strappati alle loro madri. Li gettavano vivi nelle fiamme. Le SS rompevano i crani dei bambini con il calcio dei fucili e facevano a pezzi i cadaveri come se fossero polli. Io vidi tutto questo con i miei occhi. Quando vidi le fiamme pensai di essere morta, forse all'inferno, circondata da fantasmi, pensai di essere in uno zoo. Ero una bambina piccola, confusa, non piansi.
Lo sterminio degli ebrei d'Europa è stato qualcosa di enorme, indescrivibile, ma di cui non mancano tracce e memoria. Ecco, io spero che tutti quelli che oggi scriveranno generici messaggini di ricordo, partecipazione e solidarietà non si limitino a questo, ma si informino, leggano, ascoltino e che lo facciano sempre. La memoria è una pianta che avvizzisce rapidamente se non coltivata con cura.

venerdì 24 gennaio 2014

"Poi risorge"

Ho letto un articolo che riportava i numeri stratosferici che ha raggiunto Whatsapp, destinato ormai a seppellire gli sms. Immagino quindi che sia probabile che la maggior parte di quelli che leggeranno queste righe ne siano degli utilizzatori, così ho pensato di condividere quello che mi succede. Ho scaricato l'applicazione di Whatsapp appena sono entrato in possesso di uno smartphone sapendo che per un anno avrei potuto fruirne gratuitamente e in seguito se avessi voluto continuare a farlo avrei dovuto sborsare un abbonamento invero molto modesto. Nel corso del periodo ho ricevuto, come molti immagino, messaggi e catene che minacciavano blocchi di account e pagamenti per l'iscrizione se non avessi condiviso gli stessi messaggi con decine di miei contatti. Ho sempre provato una specie di sadico piacere ad interrompere le catene. In ogni caso l'anno è trascorso senza problemi e solo un paio di settimane prima della scadenza ho cominciato a ricevere avvisi che mi invitavano ad effettuare il modesto pagamento per il rinnovo. Ora, 0.89 centesimi di euro per un anno sono veramente una cifra miserabile, anche se confrontati con il costo di un singolo sms, però in rete esistono ormai altre applicazioni che fanno le stesse cose di Whatsapp  in modo completamente gratuito e in qualche caso, dicono, anche meglio, così me ne sono scaricata una e ho pensato di usarla dopo la scadenza, giusto per un fatto di principio, e perchè non voglio avere la sensazione di essere obbligato ad utilizzare una cosa per abitudine o perchè lo fanno tutti. Naturalmente c'è da considerare il problema che se i tuoi contatti non utilizzano la stessa applicazione tu ti attacchi, ma vabbè, in ogni caso il mio contratto prevede centinaia di sms che non uso mai e io non sono uno che comunica molto. Arrivato il fatidico giorno il mio account Whatsapp si è bloccato, come previsto, niente messaggi in uscita e niente in entrata, era ottobre e ho pensato che la cosa finisse lì. Nossignori, c'era la sorpresa, dopo circa una settimana un messaggio mi informava che il mio account sarebbe stato riattivato per un mese. Bello, ho pensato che fosse una specie di incentivo per sborsare i miei 89 cent poi e così in questo modo sono arrivato alla fine di novembre quando dopo aver ricevuto i soliti inviti l'account si è interrotto nuovamente. Finito? Macchè, dopo tre giorni un altro messaggio mi informa che avrei avuto un'ulteriore proroga fino a prima di Natale. Ho pensato fosse un regalo per le feste, ma alla fine del periodo e dopo un'interruzione di altri tre giorni ho avuto un'altra proroga fino alla fine di gennaio. Fra tre giorni il mio account scadrà nuovamente, voi mi direte “e pagali sti cazzo di 89 centesimi!” Ma a questo punto voglio proprio vedere se dopo tre giorni “risorge” di nuovo e quanto può andare avanti sta cosa. E poi, vabbè, poi magari alla fine li pagherò gli 89 centesimi.

martedì 21 gennaio 2014

Italicum

Io non sono particolarmente stupito della profonda improvvisa sintonia creatasi fra il neo leader del partito democratico e il vecchio, decaduto, pregiudicato leader del centrodestra italiano. A dispetto delle sue precedenti e più recenti dichiarazioni sul destino e la figura di Berlusconi, Renzi è sempre stato coerente con se stesso e con il suo intento, che è quello di arrivare a governare questo paese asfaltando qualsiasi ostacolo gli si presenti e da qualsiasi parte arrivi. Segnali di questo intento Renzi ne ha dati sempre; chiunque lo abbia visto come un messia riversando in lui la speranza di un rinnovamento epocale di questo paese era stato abbondantemente avvisato e quindi chi ora manifesta delusione o sorpresa farebbe bene a non fare l'animella candida se le immagini di Berlinguer e del Che appese ai muri della sede del PD piangono. Renzi ha vinto, gli stessi iscritti del PD lo avevano già decretato nelle primarie a loro dedicate, se Renzi dice che lo schieramento avversario è rappresentato da un quasi ottantenne condannato e messo in un angolo da tutto il mondo perchè in Italia prende ancora i voti di milioni di persone ha ragione lui. Il suo scopo è andare a prendere i voti di molti di quei milioni, la pancia grigia e silenziosa del paese. Il punto, secondo me, è che ormai da diversi decenni (morte della classe operaia, nascita della telecrazia) le ideologie che hanno mosso e appassionato le masse verso la politica si sono atrofizzate e la politica come idea di rappresentazione del mondo è diventata una merce in vendita come qualsiasi altra. Il miglior venditore, quello capace di dominare meglio le strategie di marketing, di vendita del prodotto, vince. Non serve più essere di destra o di sinistra
La prima Repubblica sarà pure stata una gran brutta cosa e i suoi rappresentanti istituzionali pessimi esempi di governanti, ma la gran parte della partecipazione popolare che ha caratterizzato la vita politica di questo paese dal dopoguerra fino agli anni ottanta era mossa da una più sincera passione e, nonostante le derive di violenza ed estremismo, verso qualsiasi schieramento uno si orientasse a muoverlo era una differente visione del mondo che rispecchiava forse il patrimonio genetico di cui era dotato. Questa è un'idea interessante; per usare le parole dello psicologo sociale Jonathan Haidt: “chi ha ricevuto dai propri geni un cervello che prova un piacere speciale per le novità, la varietà e la diversità ed è allo stesso tempo meno sensibile ai segnali di una minaccia sarà predisposto a diventare progressista. Queste persone tendono a sviluppare adattamenti caratteristici e narrazioni di vita che li fanno trovare in sintonia, inconsciamente e intuitivamente, con le grandi narrazioni dei movimenti politici di sinistra. Coloro che invece hanno ricevuto dai propri geni un cervello con regolazioni interne opposte alle precedenti sono predisposte per gli stessi motivi a trovarsi in sintonia con le grandi narrazioni proposte dalla destra”.
Secondo Haidt progressisti e conservatori vanno visti come yin e Yang, entrambi necessari per un sano equilibrio democratico e, come diceva John Stuart Mill “sono entrambi necessari a una vita politica prospera”. Sarebbe bello, ma qui ormai non esistono più differenze la classe politica dirigente al governo è composta nei principali schieramenti da elementi che si sono formati nello stesso modo all'ombra di una balena bianca, e il futuro, come il recente passato sembra sarà in mano di chi convincerà i consum...pardon, gli elettori che il suo prodotto è quello migliore.

venerdì 17 gennaio 2014

Orse, carri e pentole

La mia preziosa guida alle stelle giorno per giorno indica per il 17 gennaio la stella Dubhe. Dubhe è la stella più estrema in alto del corpo dell'Orsa Maggiore e l'Orsa Maggiore è la migliore delle costellazioni per cominciare a prendere confidenza con il cielo notturno, certo, se si vedesse il cielo notturno. Ad ogni modo il grande carro è composto da stelle abbastanza luminose da essere viste anche con un certo inquinamento e più o meno tutti sono in grado di riconoscerlo. Inoltre alle nostre latitudini è visibile praticamente tutto l'anno. L'altra cosa che di solito notano tutti è che l'Orsa Maggiore non assomiglia per niente a un orso ma sembra molto una pentola o, appunto, un carro. Gli egiziani poi ci vedevano la zampa di un toro, i cinesi un cesto e gli indiani sette saggi. Per i romani poi le stelle rappresentavano sette buoi aratori: “septem triones”, vi dice niente? L'Orsa è una delle prime costellazioni citate nella letteratura: nel quinto libro dell'Odissea, ed è legata alla leggenda mitologica di Callisto e Arcade. Callisto era la solita bellissima principessa per cui si prese una sbandata il volubile Zeus, che ci fece pure un figlio, Arcade. Era, la cui principale occupazione era svelare i tradimenti del marito, non gliela fece passare liscia e la trasformò per rabbia e gelosia in un'orsa e poi non soddisfatta fece in modo che il figlio le desse la caccia. Zeus intervenne appena in tempo e la lanciò in cielo (per la coda) salvandola. In seguito anche Arcade finì in cielo, diventando l'Orsa Minore o Piccolo Carro.
Se volete fare i brillanti con gli amici potete usare la stella Dubhe per trovare la stella Polare e di conseguenza il nord (a meno che non lo sappiate già o non ve ne freghi nulla). Dubhe e Merak (l'altra stella che rappresenta la coda del carro) erano chiamate dagli astronomi indù gli indicatori, infatti se tirate una linea ideale partendo da Merak e passando per Dubhe la prima stella luminosa che incontrerete sarà proprio la Polare.
Dubhe è una stella gigante gialla, si trova a 105 anni luce da noi e come la maggior parte delle stelle ha una compagna molto vicina

giovedì 16 gennaio 2014

Mistero di sto...


Se ieri sera siete capitati su Italia 1 nell'eterna e sempre più difficile ricerca di qualcosa di decente da guardare in tv dopo cena e avete avuto l'impressione di essere di fronte ad un'edizione speciale di Studio Aperto vi siete sbagliati, o quasi.Si trattava della prima puntata della nuova stagione di Mistero. 3 ore di minchiate galattiche vendute come verità assolute da una squadra di conduttori dalle espressioni truci e coinvolgenti che in questi anni hanno generato pure mostri. Sì, perchè se guardando la sigla finale in stile "Ulisse", con i dietro le quinte, poi ci si rende conto che è proprio tutto, ma tutto tutto finto e probabilmente nessuno di loro crede ad una sola parola di quello che gli autori scrivono, sono sicuro che molti dei poveri giovani malati di mente che hanno realizzato un video che verrà scelto dai telespettatori come in una specie di talent, nella speranza di diventare un nuovo conduttore della squadra, a quella roba lì ci credono davvero. E io non finirò mai di chiedermi perchè. Eppure pare che l'Italia annoveri alcuni fra i migliori autori di documentari del mondo. Sono andato a rileggermi un articolo di Carlo Rovelli che parla proprio di questo. Roba da non credere. Rovelli parlava nello specifico di televisione pubblica (credo si riferisse a Voyager, ma con molto stile senza citarlo) citando trasmissioni che lasciano spiragli di interrogativi su UFO, vampiri, fantasmi e roba così. Mistero non lascia neppure spiragli, spalanca porte di certezza. La divulgazione scientifica della televisione generalista ormai è diventata questa. La superstizione che gioca su paure e dubbi ancestrali fa audience, le religioni ce lo hanno insegnato per secoli. E la divulgazione scientifica che pure c'è, ed è fatta anche bene è relegata in un angolino, su canali lontanissimi oppure a pagamento, magari messa in mezzo fra una trasmissione sul triangolo delle Bermuda e un'altra su particolari e spaventose malattie. E' proprio vero, la conoscenza è pericolosa, meglio credere ai nani assassini.

lunedì 13 gennaio 2014

definizioni reciclabili


Quando nel 1812 Napoleone ebbe la non felicissima idea di muovere un'armata mai vista prima contro la Russia senza essere del tutto consapevole di quello che faceva, lo fece nella convinzione che di fronte ad una simile forza lo Zar Alessandro sarebbe venuto immediatamente a più miti consigli senza quasi combattere. Cosa che invece lo Zar non fece. Durante la preparazione della campagna una delle questioni più delicate da risolvere fu quella relativa alla creazione di un forte stato polacco. I polacchi percepivano l'influenza della Russia come una grande oppressione e Napoleone era convinto che facendo loro sventolare sotto il naso il profumo della promessa di creare un forte stato autonomo ne avrebbe ottenuto l'appoggio facendone un satellite della Francia e un baluardo contro l'espansione russa. (questa idea di fare un po' quello che gli pareva della Polonia nei secoli ce l'hanno avuta in parecchi). Napoleone non aveva nessuna intenzione di permettere che la Polonia fosse uno stato autonomo: in realtà sperava sempre di potersi accordare con lo Zar, ma per i suoi scopi era necessario ingannare e manipolare i polacchi e per far questo era necessario usare ambasciatori abili e convincenti. Per questo scelse Dominique de Pradt, arcivescovo di Malines che gli era stato utile in passato. La scelta si rivelò infelice. De Pradt non convinse nessuno e, anzi, era totalmente inadatto al ruolo. Uno dei polacchi con cui lavorò lo definì "una nullità senza traccia di dignità". Ma c'è un'altra definizione che un contemporaneo diede di De Pradt e che mi è piaciuta molto e, non so perchè mi ha fatto immediatamente pensare ad un nostro politico emergente contemporaneo (indovinate chi); ed è questa: "Un prete più ambizioso che scaltro e più vanitoso che ambizioso". Perfetto.