mercoledì 28 settembre 2011

cattive compagnie


Mi sento di dover fare qualcosa, di dover intervenire per evitare peggiori conseguenze. Quest'uomo, così elegante e sobrio nel portare questa divisa che non saprei bene, ma mi pare di aver già visto qualcosa di simile in passato. Quest'uomo, dicevo, è Gaetano Saya, leader di un movimento di moderato amore patriottico, in passato fondatore di uno delle mie associazioni di volontariato preferite per la sicurezza che sfortunantamente per qualche motivo che non mi è chiaro non è mai divenuta operativa. Quest'uomo domani potrebbe fare uno degli errori più grossi della sua vita (specie se ci va con quel vestito lì), incontrando in conferenza stampa uno dei più pericolosi estremisti del panorama politico italiano, una subdola volpe, una faina dell'emiciclo, un fine e opportunista analista politico: il diabolico Domenico Scilipoti.
Ecco. Io l'ho messo in guardia.

martedì 27 settembre 2011

I grandi misteri dell’umanità

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In una lista di film che mi porterei su un’isola deserta ci metterei senza dubbio anche “Lost in translation”; certo non dovrebbe essere una lista di cinque o dieci film, diciamo che cinquanta potrebbe essere un numero accettabile. In fondo su una chiavetta USB uno oggidì si può portare dovunque un’intera cineteca. Il film di Sofia Coppola è uno di quelli da cui ogni volta non posso fare a meno di essere rapito: il senso di estraniazione trasmesso da un mondo così affascinante e incredibilmente lontano da noi come il Giappone è reso fantasticamente da ogni espressione di Bill Murray e poi c’è l’incontro delicato e romantico di due solitudini alla deriva. Insomma, è uno di quei film che mette in moto meccanismi profondi nella percezione di chi lo guarda. E sarà per questo che c’è questa cosa che ogni volta mi fa impazzire. Mi rendo conto che è perfetto che sia così, ma tutte le volte che vedo la scena finale in cui Bill Murray raggiunge Scarlett Johansson l’abbraccia, le sussurra alcune parole e poi si baciano e si lasciano con una luce nuova e diversa sul volto non sopporto di non aver potuto sentire quello che lui le dice. Cioè, immagino che non sia una cosa insipida come: “ti chiamo quando arrivo”, oppure, “fatti viva appena torni”. Deve essere senz’altro la trasmissione di un concetto inesprimibile a parole e questo è molto zen, lo capisco e mi piace, ma che noia. In ogni caso la Coppola ha sempre dichiarato di non aver mai dato indicazioni agli attori: quello che si sono detti lo sanno solo loro. Magari lui le ha solo soffiato in un orecchio.

sabato 24 settembre 2011

Magari è un buon momento per rileggersi questo

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"La Cosa Berlusconi"

“Non trovo altro nome con cui chiamarlo. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un profondo rigurgito non dovesse strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene distruggendo il cuore di una delle più ricche culture europee. I valori fondanti dell’umana convivenza vengono calpestati ogni giorno dalle viscide zampe della cosa Berlusconi che, tra i suoi vari talenti, possiede anche la funambolica abilità di abusare delle parole, stravolgendone l’intenzione e il significato, come nel caso del Polo della Libertà, nome del partito attraverso cui ha raggiunto il potere. L’ho chiamato delinquente e di questo non mi pento. Per ragioni di carattere semantico e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente in Italia possiede una carica più negativa che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa. È stato per rendere in modo chiaro ed efficace quello che penso della cosa Berlusconi che ho utilizzato il termine nell’accezione che la lingua di Dante gli ha attribuito nel corso del tempo, nonostante mi sembri molto improbabile che Dante l’abbia mai utilizzato. Delinquenza, nel mio portoghese, significa, in accordo con i dizionari e la pratica quotidiana della comunicazione, “atto di commettere delitti, disobbedire alle leggi o a dettami morali”. La definizione calza senza fare una piega alla cosa Belusconi, a tal punto che sembra essere più la sua seconda pelle che qualcosa che si indossa per l’occasione. È da tanti anni che la cosa Belusconi commette crimini di variabile ma sempre dimostrata gravità. Al di là di questo, non solo ha disobbedito alle leggi ma, peggio ancora, se ne è costruite altre su misura per salvaguardare i suoi interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minorenni, per quanto riguarda i dettami morali invece, non vale neanche la pena parlarne, tutti sanno in Italia e nel mondo che la cosa Belusconi è oramai da molto tempo caduto nella più assoluta abiezione. Questo è il primo ministro italiano, questa è la cosa che il popolo italiano ha eletto due volte affinché gli potesse servire da modello, questo è il cammino verso la rovina a cui stanno trascinando i valori di libertà e dignità di cui erano pregne la musica di Verdi e le gesta di Garibaldi, coloro che fecero dell’Italia del secolo XIX, durante la lotta per l’unità, una guida spirituale per l’Europa e gli europei. È questo che la cosa Berlusconi vuole buttare nel sacco dell’ immondizia della Storia. Gli italiani glielo permetteranno?”.

J. Saramago, “L’ultimo quaderno”, feltrinelli, 2010. Già pubblicato sul quotidiano spagnolo El Pais nel 2009

giovedì 22 settembre 2011

"Abbiamo restituito prestigio e autorevolezza all’Italia in campo internazionale"


Il "Late Show" di David Letterman è uno dei programmi televisivi più fortunati, premiati e visti negli USA. Letterman è in onda più o meno da trent'anni con una trasmissione e un format che non la manda a dire e mi pare che nessuno si sia mai sognato di farlo smettere o chiudere anche se a molti probabilmente piacerebbe. In Italia recentemente Rai 5 ha cominciato a trasmettere le puntate dello show in prima serata con un giorno di ritardo dall'edizione USA. Nelle ultime due che ho visto, Letterman  ha commentato la presenza a New York dei leader mondiali riuniti all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per discutere fra le altre cose del futuro della Libia. Naturalmente ha condito la cosa con una serie di gags e ha citato solo due capi di governo: Ahmadinejad e Silvio Berlusconi, e già questo, vabbè. Forse Letterman non sapeva che in effetti Papi non era andato a New York a causa di alcuni problemi a casa, o magari sì. Comunque non ha perso occasione per farci due battute. Il primo giorno ha detto di averlo visto fuori da uno strip club, e ieri sera ha augurato buona fortuna nel caso qualcuno cercasse una prostituta a New York in questi giorni. E non c'è altro da dire.

Nooooooooooo, comunque prego, non c'è di che



I REM si sono sciolti ufficialmente. Probabilmente si tratta di una decisione onesta, però, insomma, un po' dispiace, anzi, dispiace molto. Ad ogni modo ecco le motivazioni dal loro sito, via "Il Post".


“Ai nostri Fans e Amici: Come R.E.M, e amici e complici di una vita, abbiamo deciso di chiudere baracca come band. Ce ne andiamo con un grande senso di gratitudine, conclusione, e meraviglia per quello che abbiamo ottenuto. A chiunque si sia mai sentito toccato dalla nostra musica, il nostro grazie più profondo per averla ascoltata”. R.E.M.
Con parole loro: I ragazzi condividono i loro pensieri su perché ora.
MIKE
“Durante il nostro ultimo tour, e mentre facevamo Collapse Into Now e mettevamo insieme l’antologia di greatest hits, abbiamo cominciato a chiederci ‘e ora’? Lavorare sulla nostra musica e sui ricordi di oltre tre decenni è stato un viaggio d’inferno. Abbiamo realizzato che queste canzoni sembravano tirare una riga sopra gli ultimi 31 anni di lavoro assieme.
Siamo sempre stati una band nel senso più vero della parola. Fratelli che davvero si amano e rispettano. Ci sentiamo come dei pionieri in questo – qui non c’è disarmonia, né crisi, né guerre di avvocati. Abbiamo preso questa decisione insieme, amichevolmente e con l’interesse di ognuno nel cuore. È il momento giusto”.
MICHAEL
“Disse un saggio – ‘saper partecipare a una festa significa capire quando è il momento di venir via’. Abbiamo costruito qualcosa di straordinario assieme. Abbiamo fatto questa cosa. E ora la lasciamo.
Spero che i nostri fans comprendano che non è stata una decisione facile; ma ogni cosa ha una fine, e volevamo finirla bene, a modo nostro.
Dobbiamo ringraziare tutti quelli che ci hanno aiutato a essere i R.E.M. per questi 31 anni; la nostra più profonda gratitudine va a quelli che ce lo hanno permesso. È stato pazzesco”.
PETER
“Una dele cose che è sempre stata grande di essere nei R.E.M. era il fatto che i dischi le canzoni che abbiamo scritto valevano per i nostri fans quanto valevano per noi. Era, ed è ancora, importante fare le cose giuste con voi. Essere una parte delle vostre vite è stato un dono incredibile. Grazie
Mike, Michael, Bill, Bertis, e io ci lasciamo da grandi amici. So che li vedrò ancora, come so che vedrò chiunque ci abbia seguito e sostenuto durante gli anni. Fosse anche solo nella sezione vinili del vostro negozio di dischi, o all’uscita di un locale: mentre guardate un gruppo di diciannovenni che cercano di cambiare il mondo”



lunedì 19 settembre 2011

Ho visto la luce!

Ho visto la mostra di stampe originali di Ansel adams che c'è a Modena all'ex ospedale di S.Agostino. Dura fino al 29 di gennaio e consiglio caldamente a chiunque di andarla a vedere. Personalmente sono riuscito a ritirare su la mandibola dopo un paio d'ore, e quando sono tornato a casa ho dovuto resistere all'impulso di buttare via le mie macchine fotografiche e bruciare tutte le mie stupide foto a colori.

venerdì 16 settembre 2011

Se ne sono andati


L'ultima volta che ho visto Walter Bonatti è stato durante una sua apparizione nel salottino di Fabio Fazio e ricordo di aver pensato che non pareva proprio un uomo di ottant'anni. Certamente pareva un uomo estremamente in salute e probabilmente lo era. Ma soprattutto era un uomo che raccontava le grandi esperienze e avventure che aveva vissuto con un entusiasmo travolgente. E questa cosa fa doppiamente incazzare se si pensa che Compagnoni e Lacedelli avrebbero potuto benissimo fare a meno di inventarsi quella cosa delle bombole. L'eccezionalità della loro impresa non ne avrebbe risentito e un uomo straordinario non sarebbe stato sputtanato per decenni

Ricordami di non andare più a incontri con fisici quantistici

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Questa cosa dello scorrere del tempo è da perderci la testa se uno cerca di uscire dal piccolo giardino dove siamo confinati nell’universo. Il tempo, come lo calcoliamo noi ogni giorno con i nostri orologi, non è altro che una convenzione, per dare un senso al movimento della Terra attorno al suo asse e poi intorno al Sole e basta. Dogen, un maestro zen, dice molto semplicemente una cosa fondamentale: “la maggior parte delle persone crede che il tempo trascorra, in realtà esso sta sempre là dov’è”. Negli ultimi anni le comunità di fisici teorici interessati all’unificazione di meccanica quantistica e relatività generale stanno pensando seriamente di abbandonare la temporalità anche su scala più vasta perchè crea loro un sacco di problemi. E non chiedetemi perchè o che vuol dire perchè io non ci capisco niente. Io ho capito solo che noi esseri umani dotati dei nostri sensi per percepire il mondo abbiamo bisogno di stabilire un ordine per sopravvivere alla massa di stimoli a cui siamo sottoposti in ogni momento. Tutto quello che succede lo distribuiamo in un contesto che si basa sul qui e ora: Hic et nunc. Il passato non è che la memoria delle nostre esperienze e delle esperienze di chi ci ha preceduto organizzate secondo altri innumerevoli qui e ora e il futuro; iI futuro è ogni farneticante parola che scriverò dopo l’ultima che ho scritto qui, è ogni istante dopo questo. E’ una scommessa o una predizione di altri qui e ora di cui non abbiamo esperienza. Esiste di attimo in attimo qui e ora. E intanto la Terra gira oscillando sul suo asse e attorno al suo Sole che con il suo sistema di pianeti si muove attorno al centro di una galassia che a sua volta si muove nell’immensità dell’universo e l’unica cosa di cui sono certo è che io sono destinato a scadere.

martedì 13 settembre 2011

L'isola che non c'è

Mantova a settembre è uno dei miei appuntamenti annuali irrinunciabili. E' come un'immersione in una specie di realtà utopistica e alternativa che per qualche giorno mostra un'umanità che magari esiste tutto l'anno ma diluita in un mondo superficiale e disinteressato. Luca Molinari ne ha scritto sul Post usando parole che mi sento di sottoscrivere dalla prima all'ultima e che mi piace riportare integralmente:

Da sette anni frequento il Festival della Letteratura di Mantova, e da sette anni penso che quello che vivo e vedo in quella città sia una delle possibili cartoline dell’Italia “che vorrei abitare”. Una città che si apre al mondo e alle sue voci libere ospitandole, con garbo, nei suoi spazi pubblici e privati offrendoti una piacevole esperienza urbana e, insieme, il confronto domestico con tanti bravi autori.

Rimango ogni volta impressionato dalle file tranquille in attesa dell’evento, dall’ascolto appassionato e critico del pubblico durante ogni evento, dalle domande e dalle provocazioni spesso inaspettate che non mancano mai, dalle librerie sempre piene di gente diversa e di tanti bambini, seduti ovunque, che leggono avidamente il libretto appena acquistato.

Questo evento è l’origine di un virus festivaliero che ha ammalato tutta l’Italia comunale indicando un modo diverso, gentile e ospitale di vivere attivamente le nostre città, soprattutto quelle medio-piccole, che riescono a offrirsi alle novità con maggiore generosità ed entusiasmo (le metropoli hanno la forza numerica di inghiottire e digerire con indifferenza quasi ogni cosa).

E così la guida degli eventi diventa involontariamente un percorso inedito per vivere e attraversare una città in un tempo ristretto passando da piccoli, protetti spazi domestici ai grandi monumenti, dal centro alla periferia apparentemente più anonima, senza quasi sentire quelle gerarchie e quelle barriere invisibili che abitualmente non ci fanno conoscere veramente una città sconosciuta.

Ogni angolo di Mantova diventa occasione per una discussione, un piccolo evento, una performance fatta con pochi mezzi e con la complicità del luogo che la ospita, indicando una delle caratteristiche più importanti e meno riconosciute all’architettura: la capacità di accogliere chiunque e di offrire uno spazio calmo e protetto, anche solo per pochi attimi. Che si tratti dell’ombra di un portico, di una panchina su cui svenire un attimo, di una vecchia salumeria che ti invita a entrare con la vetrina carica di sapori antichi, della frescura di una grande chiesa o del giardino di un palazzo aperto per l’occasione, tutto rende la città più aperta e disponibile a essere vissuta in maniera diversa, laica, più tranquilla.

Vivi costantemente l’impressione di non consumare distrattamente luoghi, persone e cose, ma di respirarli con una lentezza inusitata e divertita, prima che la città-del-giorno-dopo riprenda il sopravvento. E così quello che senti e porti dentro di te è merce rara, perfetta dispensa per un lungo inverno di corse, viaggi, incontri frettolosi e luoghi attraversati rapidamente.

Ed è forse anche per questo che il Festival, ogni anno, riesce a farmi sentire così bene, e, con me, migliaia di altri visitatori appassionati che tornano a Mantova (ma credo che la stessa cosa si potrebbe sicuramente dire di altre occasioni prodotte e vissute con amore e intelligenza da nord a sud Italia lungo tutto l’anno).

E poi i numeri impressionano e danno, ogni volta, un significato preciso all’idea di cultura come risorsa economica, sociale, simbolica: 80.000 presenze in cinque giorni (Mantova ha 40.000 abitanti), 700 volontari, un budget di meno di 2.000.000 euro coperto nell’85% da biglietti (molto economici), ma soprattutto da sponsor privati, e un indotto territoriale calcolato in almeno otto volte la cifra investita.

E in risposta a questo successo, che cresce leggermente ogni anno, il Comune ha deciso di dimezzare i magri fondi investiti fino all’anno precedente. “È stata colpa di Bondi”, pare abbia sussurrato qualcuno dalle parti del sindaco, a confermare, se ce ne fosse ancora bisogno, il drammatico scollamento che stiamo sempre più riscontrando tra la politica (piccola o grande che sia) e le immagini di un’Italia che ci piacerebbe vivere più spesso ma che non si vuole riconoscere come possibile

lunedì 12 settembre 2011

Here there and everywhere

Sabato ho assistito ad una specie di lezione tenuta da un fisico sulla meccanica quantistica. Quello che ho capito è che i fisici sono gente parecchio strana che passa troppo tempo chiusa dentro laboratori a giocare con le particelle e che se i gatti ne sapessero un po' di più non avrebbero tutta questa passione per le scatole. La teoria dei quanti è estremamente complicata e anche estremamente affascinante e comunque quel gatto nella scatola è vivo e morto finchè non vado a vedere se è vivo o morto. Tutto qui. In realtà la cosa più probabile è che l'evoluzione ci abbia dotato di una struttura sensoriale molto adatta a percepire la realtà fisica del mondo che ci circonda limitatamente alla sfera terrestre. Abbiamo due occhi, orecchie un naso e il tatto che ci dicono che le cose funzionano in un certo modo. Per altre cose ci siamo dovuti arrivare facendo un po' di conti (pensate solo alla circonferenza della terra o al sole che sembra muoversi lui, mica noi). I nostri sensi probabilmente non sono in grado di mostrarci come funziona l'universo e il nostro cervello forse non è in grado di elaborare teorie dimostrabili in grado di spiegarlo. Almeno per ora. Adesso qualcuno sostiene pure che il cervello umano non avrebbe ulteriori possibilità di evolversi. Fine della corsa.

domenica 11 settembre 2011

11 settembre


Già non se ne parla mica molto gli altri anni, figuriamoci questo. Oggi ricorrerebbe anche l'anniversario di quell'altro 11 settembre, quello del 1973, il colpo di stato in Cile. Certo, una cosa con un impatto meno clamoroso a livello planetario, ma comunque abbastanza grave da meritare di essere ricordata e discussa, considerando il fatto che le derive autoritarie sono sempre dietro l'angolo e nessun paese al mondo può essere considerato del tutto esente dal rischio. Detto questo c'è il decennale degli attentati negli Stati Uniti, immagini viste e riviste migliaia di volte, spaventose e drammatiche e al tempo stesso con un risultato estetico strpitoso, nessun avvenimento così lontano nel tempo è mai parso così vicino, e chissà per quanto tempo ancora sarà così.

giovedì 8 settembre 2011

Hanno sempre di più la faccia come il culo

E se per caso in giro ci fosse ancora qualcuno che pensa che: Oh, ma no, sono cose del passato oggi non potrebbe succedere una cosa così ipocrita e ambigua, è successo allora per le particolari condizioni dovute alla guerra, gli alleati, blah blah blah, e altre cavolate del genere. Mi piace ricordare che solo un anno fa un noto ditattore sul quale stiamo sganciando bombe da mesi, scorazzava felice per le nostre città insegnando il Corano a un manipolo di gnocche. Il nostro attuale premier si dichiarava il suo più grande amico con profusione di baci e abbracci e il nostro governo firmava con lui un trattato di amicizia che per sistemare le cose adesso dicono che era amicizia solo con il popolo libico, mica con chi lo governava

mercoledì 7 settembre 2011

Inaffondabili d'annata

(JONATHAN NACKSTRAND/AFP/Getty Images

E' passata alla storia la frase che un marinaio del Titanic rivolse ad una signora che poi sopravvisse al disastro e la riportò per i posteri: "Signora, nemmeno Dio potrebbe affondare questa nave". Come andarono le cose lo sappiamo tutti. Meno nota ai più è la vicenda di una nave che di strada ne fece molta meno del Titanic: l'orgoglio della marina militare svedese, il Vasa, che il giorno del varo, il 10 agosto 1628, percorse circa un miglio nel porto di Stoccolma prima di cominciare ad imbarcare acqua per poi affondare in pochissimi minuti. Se qualcuno abbia pronunciato frasi che potessero "gufare" la nave voluta fortemente dal re di Svezia non è dato saperlo. Oggi il Post pubblica un bell'articolo che ne racconta la storia in occasione del cinquantesimo anniversario del recupero.

lunedì 5 settembre 2011

Mercì Denise

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Quando nel 2009 mi trovai all’incontro con Denise Epstein durante il festivaletteratura di Mantova, ci ero arrivato per caso, non avevo la minima idea di chi fosse e tantomeno conoscevo sua madre, Irene Nemirowsky. La cosa che più mi colpì allora fu lo sguardo triste e lontano di quella bella e anziana signora, uno sguardo che pareva sempre rivolto oltre la platea che le si trovava di fronte. E molto mi colpì anche la decisione e severa fermezza con cui ribadì che non avrebbe parlato e non avrebbe risposto a domande sugli ultimi momenti che passò con la madre nel luglio di 67 anni addietro, prima che questa fosse arrestata dalla polizia francese per poi scomparire nel baratro di Auschwitz, seguita poco dopo dal marito. Denise Epstein parlò quel giorno della biografia di Irene Nemirowsky che due autori francesi avevano recentemente pubblicato con il suo aiuto e concentrò il suo racconto sulle vicende di una valigia che la madre le affidò prima di scomparire e che lei, tredicenne, portò con sé assieme alla sorella di cinque anni durante gli anni di guerra, fuggendo di nascondiglio in nascondiglio braccate da polizia francese e gestapo. Sopravvissute alla guerra le due sorelle trovarono il coraggio di aprire quella valigia solo molti anni dopo, e molti altri ancora ne passarono prima che si rendessero conto che in piccolo quaderno era contenuta l’ultima opera incompiuta della madre: “Suite francese”. Si trattava di un romanzo grandioso, ambientato nella Francia invasa dai tedeschi e scritto praticamente in tempo reale con il corso degli avvenimenti. “Suite francese” è stato pubblicato nel 2004 per la prima volta e ha significato la riscoperta di un autrice che era stata praticamente dimenticata. Personalmente trovo che sia uno dei libri più belli che io abbia letto in vita mia e sono perciò molto grato a quella anziana signora così segnata dalla vita che vidi a Mantova senza sapere chi fosse. Questa settimana torna il festivaletteratura e io cercherò come ogni anno di scegliere bene fra tanti eventi seguendo le mie preferenze ma anche cercando di trovare qualcosa di nuovo e sconosciuto che mi possa regalare ancora emozioni così belle.

Se ne sono andati


«Una volta nel 1994 incontrai Silvio Berlusconi e cercai di spiegargli che fare politica significava fare gli interessi degli altri e non i propri. Non ebbi successo»

Da un'intervista di Martinazzoli nel 2010. Riportata oggi dal "Post"


venerdì 2 settembre 2011

E questi ci vogliono fare un ponte?

Sul numero di agosto del National Geographic c'è un bell'articolo che parla dell'autostrada Salerno Reggio Calabria, l'infernale A3. E' il racconto di un'esperienza di viaggio fatta da un giornalista e vista come una metafora dell'Italia, paese incompiuto. Io sono stato fortunato, ho percorso due tratti di A3 per la prima volta in vita mia nei giorni passati in momenti in cui di traffico non ce ne era un granchè. Ma che ci crediate o no, quella nella foto è un'autostrada, la corsia è a doppio senso di circolazione e la velocità sul contachilometri è quella di percorrenza media.

giovedì 1 settembre 2011

1 settembre

Se stamattina vi siete svegliati con un irrefrenabile impulso di invadere la Polonia era per questo.