venerdì 23 maggio 2014
Chiamale se vuoi, emozioni
Le emozioni formano la coscienza e la consapevolezza politica? Io temo di sì. Capipopolo urlatori, pseudoleader piacioni e abili venditori di sogni a buon mercato porta a porta impegnati da giorni a elemosinare voti giocando sulle emozioni più che sugli argomenti come vanno considerati? Paura, risentimento, livore, sospetto, speranza sono sensazioni che dovrebbero bastarci per determinare delle scelte o dovrebbero essere piuttosto dei campanelli che ci inducono a riflettere meglio prima di decidere o prendere posizione? Mi ci ha fatto pensare un interessante articolo di Carla Bagnoli sull'ultimo domenicale del Sole24ore. Si tratta della recensione di un libro scritto da un giovane filosofo inglese, Michael Brady sul ruolo delle emozioni.
Grazie al contributo portato dallo sviluppo delle neuroscienze oggi siamo in grado di considerare le emozioni come fenomeni molto più complessi e meno spontanei. Nel suo libro Brady insiste sul contributo che le emozioni possono portare all'aumento della conoscenza e della consapevolezza. Generalmente le emozioni sono sempre state considerate per lo più un ostacolo alla razionalità, contribuendo alla formazione di credenze od opinioni sbagliate. L'articolo cita ad esempio il passaggio di un famoso film di Sidney Lumet ("La parola ai giurati") nel quale undici componenti di una giuria formata da dodici persone sono condizionati da emozioni indotte di paura, rabbia e risentimento a considerare colpevole un giovane accusato di aver ucciso il padre, fino a quando il dodicesimo menbro, giocando anch'esso su un'emozione, non li convince a rivedere le proprie convinzioni arrivando così ad invertire la decisione presa. Le emozioni dunque possono orientarci facilmente ad una scelta che potrebbe rivelarsi sbagliata, perciò dovremmo imparare a considerarle uno strumento per una valutazione critica del nostro pensiero veicolandole all'interno di una riflessione che potrebbe portarci a spiegarne la causa e rivedere le nostre scelte. In effetti non sembra una cosa facile.
Sullo stesso giornale c'era anche un altro articolo piuttosto stimolante, scritto da Gilberto Corbellini. Corbellini parte da un presupposto interessante: una persona con una convinzione è una persona difficile da cambiare, quindi scordatevi di far cambiare idea ad un grillino medio o a un fan sfegatato di Berlusconi, per dire. Secondo il principio di "dissonanza cognitiva", elaborato dallo psicologo Leon Festinger negli anni '50, se mostrate ad una persona fonti e numeri che smentiscono la sua convinzione metterà in discussione le vostre fonti e più sarete logici e convincenti meno sarete capiti, in particolare se forti emozioni non abbiano formato la sua convinzione, aggiungo io.
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