giovedì 8 marzo 2012

De libidine

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Giovanni Sercambi è un autore vissuto fra ‘300 e ‘400, a scuola proprio non se lo fila nessuno, alle superiori certamente no, e all’università neppure direi, almeno per la mia esperienza personale: il mio manuale di letteratura italiana, che sono andato appositamente a ripescare, lo sbriga in quattro righe, le avevo pure sottolineate varie volte ma evidentemente non ha lasciato nessun segno nella memoria. Alla fine Dante, Petrarca e Boccaccio sono quelli che contano a scuola e in fondo è meglio così, non possono mica essere trattati tutti nello stesso modo se no sai che pizza. Fra settecento anni quando qualcuno studierà la letteratura italiana fra XX e XXI secolo (Sempre che si faccia ancora) quali saranno gli autori che faranno tremare i ragazzini a scuola prima dell’interrogazione? Immagino, forse, Camilleri e poi? Fabio Volo? (con rispetto parlando), Moccia? Vengono i brividi solo a pensarci. Ma Giovanni Sercambi non era malaccio, il suo novelliere immagina la solita compagnia di amici a zonzo per sfuggire alla peste e intenta a raccontarsi storielle, più o meno 150, alcune delle quali assai godevoli, come quella che racconta le vicende della badessa del monastero dell’Olmo, vicino Arezzo, che amava farsi intrattenere, diciamo così, nottetempo dalle sue consorelle debitamente attrezzate con una verga pastorale adattata all’uopo. ll Sole24ore ha pubblicato questa novella ed altre riadattate da autori contemporanei e curate da Ermanno Cavazzoni sull’inserto della domenica e sul suo sito, ma sono facilmente reperibili e spassose anche nella loro versione originale in rete e ne vale la pena.

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