giovedì 10 marzo 2011

Gotta feed the monkey

bridgesdude Ci sono alcuni film che nel tempo sono diventati veri e propri oggetti di culto da parte dei fan; vengono visti e rivisti decine di volte, si citano le battute fino allo sfinimento, periodicamente si organizzano raduni pieni di sciroccati vestiti come i protagonisti, meglio se con la presenza degli stessi, per poterli vedere, toccare, carpirne gli autografi e magari chissà quale aneddoto o perla di saggezza. I fenomeni sono catalogabili secondo varie tipologie di fanatismo, da lieve a patologico e a parte rare eccezioni praticamente nessuno di noi ne è indenne. Di solito le cose restano in quest’ambito, ma esiste un caso un po’ particolare, che per quanto ne so è unico. Nel 2005 un americano che viveva in Thailandia, da tempo alla ricerca di risposte sulla vita e forse dedito al consumo di sostanze che lo aiutassero allo scopo, fondò in un bar tailandese la sua personale religione ispirandosi al film dei fratelli Coen “Il grande Lebowski” che in quel momento stava passando in televisione. Sembra una cazzata, ma il Dudeismo (da Dude, il protagonista, da noi era Drugo) dopo appena quattro anni contava già qualcosa come 100000 adepti che si sono ordinati “preti dudeisti”. Il Dudeismo si ispira al Taoismo, semplificato attorno alla figura del protagonista del film e al suo stile di vita sostanzialmente orientato al “take it easy”. Personalmente lo trovo abbastanza attraente.

I fratelli Coen sono cineasti molto bravi, trovo che i loro film siano tutti dei piccoli gioielli, ma penso che neppure loro avrebbero mai pensato di dar vita ad una cosa del genere. Pochi giorni fa ho visto l’ultimo film dei Coen, “Il Grinta” e mi è piaciuto molto. Jeff “Drugo” bridges era molto credibile nei panni del vecchio sceriffo alcolizzato Cogburn già interpretato da John Wayne in passato. Spero però che questa volta nessuno si ispirerà al suo personaggio per dar vita a strani culti messianici. Qualche critico  ha recensito “Il Grinta” interrogandosi sul senso di un film western certamente ben fatto ma del quale non si capisce quale sia il significato e il motivo per cui è stato realizzato. Personalmente penso che, come diceva Andrè Bazin, il western sia il cinema americano per eccellenza, capace di sopravvivere alle mode, specie se affrontato da geniacci come i Coen. Inoltre il western ha sempre rappresentato la dimensione epica e mitica di tutta una nazione e penso che abbia senso che un grande regista ad un certo punto della sua carriera senta la necessità di confrontarsi con questo genere. Oltretutto la dimensione del mito i Coen l’avevano già affrontata in modo scanzonato con “Fratello dove sei”. Penso che i Coen avevano un sacco di motivi ragionevoli legati al loro percorso cinematografico e ai loro personaggi un po’ “border line” per fare questo film, e se non li avevano si può sempre ricorrere al dudeismo, che ci insegna che alla fine della giornata bisogna comunque pur sempre dar da mangiare alla scimmia.

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