giovedì 15 novembre 2012

La Cina che verrà, forse

Oggi i cinesi hanno finalmente annunciato ufficialmente il nome dell'uomo che guiderà la Repubblica Popolare per i prossimi dieci anni. Ieri si erano chiusi i lavori del congresso del Partito Comunista durante il quale più di duemila delegati provenienti da tutto il paese si erano riuniti per determinare la futura classe dirigente. Naturalmente non è vero niente, i nomi dei futuri governanti erano già stati decisi da quattro o cinque persone molto tempo prima e i nomi circolavano da un po'; ma i cinesi sono particolarmente appassionati dalle grandi coreografie, e uno spettacolo come quello del grande palazzo del popolo infarcito di fiori, bandiere e persone plaudenti ricorda ai cinesi stessi e al mondo tutto che il comunismo della Repubblica Popolare è vivo e vegeto e intende condizionare il mondo per lungo tempo ancora dando l'impressione di granitica e immutabile solidità e continuità. La Cina moderna non è più neppure parente di quella di Mao, a dispetto della sua immagine onnipresente. Le riforme economiche ne hanno fatto un paese moderno che si trova nella singolare posizione di dover far convivere il più selvaggio sviluppo economico con un sistema politico monolitico e repressivo nei confronti di qualsiasi tipo di dissenso. La nuova dirigenza cinese rappresenta una novità anche in campo generazionale e forse saprà portare sviluppi e novità in direzione di una maggiore libertà politica. Io penso che la Cina cambierà in questo, e probabilmente lo farà molto lentamente, alla cinese. Fatti come quelli di Tien An Men non sono più neppure immaginabili nella Cina moderna: Pechino è una città nella quale si respira una grande aria di libertà ma anche di estremo controllo, la repressione è dietro l'angolo, ma qualcosa sta cambiando. L'artista iraniana Soody Sharifi (che di governo repressivo se ne intende) sostiene che “quando un governo reprime il popolo, l'arte si fa espressione di dissenso”, a volte sotto gli stessi occhi del potere. Succedeva anche da noi durante il fascismo e la stessa cosa ho avuto la sensazione di coglierla in Cina. A Pechino e a Shangai i quartieri degli artisti sono dei piccoli ghetti dove i mercanti d'arte hanno trovato il modo di fare business ma dove fra le righe si legge il germe di una voglia di nuovo che sta coinvolgendo una nuova generazione di giovani cinesi che saranno i veri portatori del cambiamento.

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