sabato 14 aprile 2012
Cent'anni fa
Il disastro che segnò drammaticamente la fine di un'epoca e marchiò indelebilmente l'immaginario umano. Utile oggi soprattutto a Bruno Vespa per continuare a farci sopra trasmissioni e portare in studio plastici sempre più grossi.Sono mille le storie di grandezza e miseria umana che si possono trovare sulla vicenda del Titanic, il mio preferito, fra i mille personaggi che popolarono quella notte, è il capo fornaio Charles Joughin che quando si rese conto di cosa stava succedendo per farsi coraggio si bevve una bottiglia di whisky, fece distribuire tutto il pane che c'era e poi contribuì personalmente a buttare (letteralmente) delle donne nelle scialuppe. Alla fine si gettò in acqua e raggiunse una scialuppa alla quale si aggrappò senza che lo facessero salire. Sopravvisse grazie all'alcool che aveva in corpo. C'è anche un particolare che riguarda noi italiani nella storia, piuttosto comico se si pensa a fatti recenti: durante l'inchiesta successiva alla tragedia l'ambasciatore italiano in Inghilterra pretese ed ottenne le scuse di un ufficiale del Titanic che aveva usato il termine "italiano" come sinonimo di codardo, oggi avrebbe usato "Schettino" e nessuno avrebbe osato ribattere nulla. Personalmente di tutta la vicenda la cosa che mi ha sempre più impressionato è quel romanzetto intitolato "Vanità" e scritto nel 1898 da tal Morgan Robertson, che immaginò un enorme transatlantico, lo chiamò Titan e dopo averlo riempito bene di bella gente lo fece cozzare contro un iceberg in una notte di aprile.
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