lunedì 13 aprile 2009

La partecipazione ai tempi della sua riproducibilità tecnica



Da quando ho un profilo su facebook mi sono iscritto a una decina di gruppi, uno l'ho addirittura fondato, un altro l'ho mollato quando mi sono reso conto del genere di persone che lo frequentava. Si può trovare di tutto: dal gruppo di solidarietà per un cellulare caduto nello sciacquone fino a quelli impegnati nella difesa dei diritti umani o nell'abolizione degli stessi; il 99% di quello che c'è mi pare sia fuffa e la differenza è fatta naturalmente dal numero degli iscritti. Ma dietro alla partecipazione ad un gruppo su feisbuc, che normalmente prevede solo l'impegno di un clic sul tasto invio cosa altro c'è? Se devo considerarmi nella media delle persone che frequentano questo tipo di associazioni il panorama è desolante: non mi ricordo neppure quali sono i gruppi a cui partecipo io, senza parlare di quello che ho fondato, che ignoro da un sacco e me ne dispiaccio perché era un'idea carina.
Ultimamente la stampa generalista usa tantissimo facebook per fare sociologia facile, badateci, in tv e sui giornali ormai il social network spopola e gli orientamenti e le tendenze della ggente sono calcolati più sui numeri di un fenomeno che ha più utenti del pubblico di un reality che dalle statistiche scientifiche. Ma l'impegno vero c'è ancora? La partecipazione con la P maiuscola esiste? Non è che ci stiamo rincoglionendo tutti davanti ad uno schermo e una tastiera e che magari sembra che siamo un popolo super impegnato in mille campi mentre invece tutto si riduce a “vuoi iscriverti a questo gruppo, conferma o ignora?”

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