Dove sono finiti i milioni di barili di petrolio che per mesi si sono sversati nel golfo del Messico dopo l’esplosione della piattaforma Deepwater horizon? La bella e interessante (come sempre) puntata di Report di ieri sera ci ha dato qualche risposta e così abbiamo scoperto che una parte del greggio è stata recuperata, una parte eliminata, qualcosa si è dissolto naturalmente e che del 30% si sono perse le tracce. Perse le tracce? Naturalmente non è così. Il petrolio è ancora in giro per gli oceani e continuerà a far danni per decenni. La cosa che fa più incazzare in questo genere di vicende poi è la faciloneria e l’assoluta faccia a guisa di terga con cui i responsabili di questo disastro si presentano in pubblico spiegando che risolveranno il problema in brevissimo tempo e tutti verranno risarciti e saranno felici e contenti. A dimostrazione dell’”efficienza” del piano di sicurezza organizzato dalla BP c’è il documento che spiega come anche la più grave delle perdite di petrolio non avrebbe provocato che danni minimi alle zone di pesca e che la fauna locale, compresi trichechi, lontre di mare e otarie non ne avrebbe risentito. Il piano tralasciava il trascurabile particolare che non esistono questi animali nel golfo del Messico. Inoltre il piano BP indicava tra le persone che dovevano intervenire in caso di emergenza un biologo marino morto da cinque anni e indicava come fornitore per le attrezzature di emergenza un sito web giapponese di divertimenti. Complimenti.
Se poi si scopre che anche gli stessi pescatori, quando pescano nei dintorni di un disastro ecologico (come nel caso della petroliera Haven nel 1991), ributtano in mare il petrolio solidificato e tutta la sporcizia che rimane impigliata nelle loro reti per ripescarlo poi il giorno dopo, allora siamo proprio senza speranza.
Nessun commento:
Posta un commento