Noi europei normalmente abbiamo una conoscenza della Patagonia tutta letteraria. A parte chi c’è stato, naturalmente. Io non ho mai letto Chatwin ma ho questo mito della Patagonia come luogo ai confini del mondo, romantico, che richiama una natura selvaggia, primigenia, quasi non toccata e raggiunta dall’uomo. Ma la Patagonia è anche altro. In Patagonia nell’estate australe del 1921-22 ci fu la più grande repressione di operai e contadini avvenuta in Argentina prima della dittatura degli anni settanta. Millecinquecento operai rurali scesi in sciopero e insorti contro i padroni che li sfruttavano furono massacrati e sepolti in fosse comuni dall’esercito mandato dalla capitale in rinforzo della polizia. Molto spesso le vittime furono torturate e fucilate dopo essersi arrese e aver consegnato le armi con la promessa di aver salva la vita. Una volta soffocate nel sangue le istanze degli operai i grandi proprietari terrieri ripresero a sfruttarli ancor più di prima. I sindacalisti e i leader anarchici che avevano guidato la rivolta furono anch’essi, con pochissime eccezioni, eliminati. Il principale artefice della repressione, il famigerato tenente colonnello Varela, godette di breve fama; dopo essere stato coperto di gloria dai proprietari terrieri tornò a Buenos Aires, preceduto però dalle voci sul suo operato. Il governo lo mollò e un anno dopo le stragi fu ucciso da un anarchico tedesco che voleva vendicare le vittime che giacevano senza nome nelle fosse comuni. Non ci furono mai fiori sulle fosse dei fucilati, solo pietre e l’eterno vento patagonico. L’unico fiore, forse, fu un gesto: Quello che fecero alcune prostitute di un bordello della cittadina di San Julian. Di loro si conoscono anche i nomi, conservati nei registri della polizia che le arrestò: Consuelo Garcia, Angela Fortunato, Amalia Rodriguez, Maria Juliache e Maud Foster. Quando alcuni militari reduci dalla campagna di sterminio, in libera uscita concessa dal loro comandante Varela, si presentarono al bordello, le ragazze si rifiutarono di offrire qualsiasi prestazione e cacciarono i militari insultandoli nel peggiore dei modi e chiamandoli assassini. Se la cavarono. I militari preoccupati di sollevare uno scandalo archiviarono la questione considerandola solo l’opinione di cinque puttane.
Questa storia e quella drammatica della rivolta sono raccontate in un libro: “Patagonia rebelde”. Perseguitato fin dalla sua comparsa nel 1974 è sopravvissuto solo grazie alla tenacia dell’autore, Osvaldo Bayer. La versione originale pare un poema epico: è lungo 1600 pagine, ma noi in Italia dobbiamo accontentarci di una riduzione tratta da una riduzione e pubblicata da Elèuthera. Lettura comunque interessante.
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