martedì 27 gennaio 2015

Quando il mondo non vuole vedere



Queste tre foto sono forse una delle più terribili testimonianze visive dell'enorme buco nero nel quale scomparvero migliaia di esseri umani durante la seconda guerra mondiale. Furono scattate a rischio della vita e di nascosto da alcuni prigionieri di Auschwitz Birkenau addetti allo "smaltimento" e al funzionamento dei crematori nell'agosto del 1944. Si vedono chiaramente uomini intenti a bruciare cadaveri e nella foto al centro un gruppo di donne nude e scheletiche dirette verso le camere a gas. Le foto furono fatte uscire clandestinamente dal campo perchè tutto il mondo potesse venire a conoscenza dello sterminio degli ebrei. Nell'agosto del 1944 probabilmente qualcuno che avrebbe potuto fare quacosa ne era già a conoscenza. Osservate quest'altra foto.
Di questa fotografia avevo già parlato qui , fu scattata il 23 agosto 1944, forse lo stesso giorno delle foto di sopra, da un ricognitore britannico: la colonna di fumo bianco è causata probabilmente dal rogo dei corpi che i forni crematori non erano in grado di smaltire. La maggior parte delle informazioni, molto precise, sulle attività dei campi di sterminio le dobbiamo agli stessi tedeschi che per la burocrazia hanno sempre avuto una certa disposizione. Così sappiamo che quel giorno si stava provvedendo alla "soluzione finale" degli ultimi ebrei polacchi provenienti dal ghetto di Lodz e che era in corso lo sterminio degli ebrei ungheresi. Certo, da migliaia di metri d'altezza forse non era possibile determinare l'origine del fumo e forse le foto scattate nel campo avrebbero impiegato settimane prima di essere viste da qualcuno che potesse rendersi conto di quello che succedeva, ma nell'agosto del 1944 si sapevano già altre cose. I campi di sterminio erano già sorvolati e fotografati da parecchi giorni, ma le informazioni sulla vera natura dei campi erano giunte anche grazie ad alcuni ebrei che erano riusciti a fuggire da Auschwitz: Walter Rosenberg e Alfred Wetzler ad aprile e poi, a maggio, Czeslaw Mordowicz e Arnost Rosin. Questi uomini riuscirono ad entrare in contatto con diverse organizzazioni di ebrei in clandestinità, alla fine di maggio il rabbino Shoenfeld di Londra era già in possesso di  un rapporto sulle attività di sterminio dei tedeschi, in seguito fu informato anche il governo cecoslovacco in esilio a Londra. In agosto gli alleati erano a conoscenza di informazioni che probabilmente avebbero potuto quantomeno rallentare lo sterminio di 400000 ebrei ungheresi. Ma la risposta del Foreign Office inglese al governo cecoslovacco, dopo essersi consultato con gli USA fu che "erano state prese tutte le misure necessarie per il salvataggio delle vittime". Nella pratica si continuò solo a sorvolare i campi scattando fotografie. A volte penso che al netto della differenza avvenuta in settant'anni nella trasmissione e circolazione delle informazioni sugli avvenimenti tragici che capitano nel mondo non molto è cambiato nell'indifferenza di atteggiamento dovuta a calcolo e opportunità "strategiche", e questo non è molto rassicurante.

lunedì 26 gennaio 2015

Di mamme e libertà di stampa


 Scusate, ma io non sono un fine teologo e questa cosa non l'ho ancora capita. Ho anche provato ad ascoltare radio Maria, qualche volta lo faccio, ma niente, anche lì non ho trovato conforto. Dunque il Papa ha detto che uccidere in nome di Dio non è giusto, mai, che è un'aberrazione e tutta questa roba qui. Giusto, ottimo. Oltretutto la chiesa cattolica ha già chiesto scusa per tutti quelli che ha ammazzato in nome di Dio in passato, quindi va bene. Poi però il pontefice aggiunge che non si può neppure deridere la religione altrui e che se qualcuno offende la mia mamma poi si deve aspettare un pugno, è normale. Allora, scusate, ma continuo a non capire, qual è l'interpretazione teologica di questa dichiarazione? Voglio dire, alla luce di quanto detto i fedeli musulmani un tantinello radicali che si sono sentiti offesi per il tono delle vignette di Charlie Hebdo, come avrebbero dovuto comportarsi nei confronti dei responsabili di tanta offesa? Forse avrebbero dovuto entrare suonando il campanello e colpire molto rudemente a ceffoni i redattori e i vignettisti del giornale? La questione, per come la vedo io è diversa. Nello stesso momento in cui si dice che non ci deve essere limite alla libertà espressione ma che questa dovrebbe da sola porsi dei limiti non offendendo le religioni, ecco che si pone un limite alla libertà di espressione. Io non credo nell'esistenza di qualsiasi Dio, ma normlmente nel rivolgermi a persone di cui conosco la fede o anche nel dubbio, cerco di essere attento a non offenderne la sensibilità, per cui mi limito. La stessa cosa penso dovrebbero fare tutti coloro ricoprano cariche  e ruoli pubblici e istituzionali, le cui dichiarazioni normlmente arrivano a chiunque e dunque non possono essere veicolate esclusivamente verso chi più interessa loro raggiungere (Anche se spesso si ha l'impressione che certe cose siano buttate lì giusto per cercare la rissa, vero Gasparri?). Ma la stampa? La stampa, anche e soprattutto quella satirica, in un paese dove esiste la libertà di espressione non dovrebbe essere frenata da nessun limite che non sia quello che proviene dalla libera coscienza di chi manifesta tale espressione. In un paese in cui esista vera libertà di stampa e di espressione chiunque dovesse sentirsi offeso dal tono e dal linguaggio di certe pubblicazioni è semplicemente libero di ignorarle, rispettando allo stesso tempo il diritto di chi pensa che tali forme di linguaggio offensive non siano.

domenica 25 gennaio 2015

Qualche numero, così, per rinfrescare la "memoria"

Cominciò tutto con un censimento disposto nel febbraio 1938 dal ministero degli interni sulla religione professata dai propri dipendenti. A questo seguì ad agosto un "censimento speciale dei giudei". Poi, a settembre, "in nome di Dio e per volontà della Nazione" l'infame Savoia firmò qualsiasi provvedimento "in difesa della razza" che gli fu messo di fronte da Mussolini (quello che periodicamente viene definito da qualche nostro illuminato politico il più grande statista del novecento). Tra il settembre del 1938 e l'aprile del 1945 la popolazione ebraica in Italia passò da 46656 persone a 26938, fu un calo del 48%. un ebreo italiano su due fu coinvolto direttamente dalla politica antiebraica. I più fortunati fuggirono o emigrarono. 6806 persone furono deportate nei lager nazisti, 322 vennero uccise direttamente sul suolo italiano. Possono sembrare numeri piccoli nell'enorme oceano che inghiottì un intero popolo in quegli anni, ma credo sia comunque un ottimo esercizio ricordare anche questi.

giovedì 22 gennaio 2015

Non tutti torneranno ai prati

Se avete visto American Sniper e ci state ancora pensando su vi segnalo un paio di articoli interessanti da leggere direttamente sul sito del Post, qui un bel post di Francesco Costa e qui sulle polemiche suscitate se sia un film di propaganda oppure no. Sempre sul Post si può trovare anche un accenno ad una scena in particolare, quella in cui Bradley Cooper prende in braccio una bambola al posto di una neonata vera che dovrebbe essere la seconda figlia del protgonista. se avete visto il film è possibile che vi siate accorti da voi che nella scena è stata usata una bambola, era piuttosto evidente. Per qualcuno questo potrebbe essere un vantaggio per Cooper in vista degli Oscar: recitare con una bambola e risultare convincente dovrebbe essere un punto a suo favore, oppure no. Per me no. Comunque gli Oscar non li attribuisco io. Ad ogni modo tutta la discussione su questo film e sui film di guerra in genere mi ha fatto tornare in mente un piccolo film, il gioiello di un maestro, uscito già da qualche mese ma che se non avete visto vale la pena di recuperare: "Torneranno i prati", di Ermanno Olmi. Oltretutto quest'anno ricorre il centesimo anniversario dell'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale per cui  è assolutamente attuale.  Al film di Olmi mi ha fatto pensare Il post di Costa, che ho citato prima e con cui penso di essere d'accordo rispetto al fatto che Eastwood non abbia raccontato la storia di Chris Kyle, che era senz'altro molto complessa e che forse a prescindere dal fatto che Eastwood si sia preso delle libertà di sceneggiatura doveva essere raccontata diversamente. Neppure Olmi racconta una storia, ma nel farlo non fa torto alla storia, semplicemente non vuole raccontarne una. Vuole descrivere un momento, all'interno di una più grande storia, fatta di eventi assurdi inumani e privi di senso e vuole mostrarci degli uomini, forzatamente posti all'interno di questi eventi che forse neppure comprendono e che semplicemente cercano di restare vivi. Olmi è sempre stato chiaro su quale fosse il suo punto di vista nel raccontare le storie, queste sono parole sue: Nei dipinti ufficiali commemorativi delle battaglie al centro ci sta sempre un generale in capo a cavallo..., mentre i soldati e i caduti vengono mostrati in campo lungo. I protagonisti della storia vengono sempre lasciati in ombra. Io voglio raccontare le storie di gente che, per coloro che fanno la storia, è "senza storia", quelli che non vengono mai presentati come protagonisti. La guerra è una gran brutta cosa, il cinema l'ha raccontata in molti modi, esaltandola perfino in certi casi, più spesso, fortunatamente condannandola. Ermanno Olmi non mostra molto della guerra, ci  mostra degli uomini che non è neppure possibile definire dei soldati perchè sono probabilmente contadini e operai, uomini che si trovano di fronte alla più assurda delle follie dell'uomo costretti da altri uomini e ci chiede di non dimenticarli. Io non li dimentico.

domenica 18 gennaio 2015

Dall'altra parte del mirino

Se avessi visto prima il film probabilmente non sarei stato molto interessato a leggere il libro, ma avendo letto prima il libro regalatomi da un amico in effetti ero piuttosto curioso di vedere come Clint Eastwood  avrebbe trattato il personaggio e la sua storia. Il Chris Kyle che descrive se stesso nel libro non mi era molto piaciuto per dirla tutta: Dio, patria, famiglia, la croce tatuata per far sapere a tutti che lui era cristiano e la sua missione era uccidere cattivi che non lo erano e volevano solo ammazzare lui e i suoi fratelli in armi; la sua assoluta presuntuosa certezza di essere dalla parte del bene assoluto opposto al male assoluto. Certo, forse non era del tutto colpa sua, Chris Kyle era il tipico figlio dell'America contemporanea in guerra contro il "terrore", che protegge se stessa esportando democrazia secondo principi imbottiti di retorica holliwoodiannazionalistica. Nella sua autobiografia il cecchino più letale della storia militare americana non è mai sfiorato dal dubbio nel compiere il suo dovere, proteggendo i suoi compagni in armi con l'eliminazione scientifica e precisa di soggetti nemici, armati e pericolosi, a decine, forse centinaia e lo fa quasi stesse giocando un videogioco. La sua intenzione sembra sempre quella di essere pienamente in controllo di se stesso, assolutamente nel giusto, uno spietato figlio di puttana, pieno di acciacchi fisici magari, ma conosciuto come la "leggenda", uno che non poteva mostrare segni di debolezza. Tuttalpiù poteva ammettere di avere qualche difficoltà a conciliare il suo ruolo di marito e padre con quello di soldato impegnato a proteggere il suo paese e i suoi compagni, che naturalmente dovevano avere la priorità. Chris Kyle era un personaggio magnifico per un film di Clint Eastwood. E Eastwood è stato bravo a trasmettere nel personaggio il peso, il disagio e lo sporco che senza dubbio erano depositati nell'animo di un uomo come kyle. Eastwood ha saputo trarre da tutta la retorica contenuta nelle parole dello stesso Kyle il disagio profondo di un ragazzo che si confrontava quotidianamente con l'orrore guardandolo attraverso il mirino di un fucile.
La fine di Chris Kyle è stata il contrappasso perfetto della sua vita: dopo aver passato anni sui tetti delle città irachene a sparare a "selvaggi" cattivi per difendere i buoni portatori di democrazia, non poteva che essere ucciso da uno di quest'ultimi, sotto casa.

domenica 11 gennaio 2015

Un giorno di troppo

Oggi mi è capitato di fare un po' di riflessioni sugli avvenimenti degli ultimi giorni. Non voglio ragionarci troppo qui, lo stanno facendo già in molti e forse anche eccessivamente, spesso fuori luogo e impropriamente (in particolare politici e giornalisti). L'unica cosa che vorrei puntualizzare è una cosa che ho maturato rileggendo i tweet scritti sugli avvenimenti di Parigi, spesso figli dell'emozione del momento, come spesso sono i tweet. In particolare uno, questo:
L'unica cosa sensata sarebbe farla finita con le religioni, tutte le religioni. Tanto per cominciare.  

Questo tweet è figlio dell'emozione e di quello che io penso della religione. Ora, non vorrei dilungarmi troppo neanche su questo, quello che penso io in sintesi è che Dio non esista, ma è quello che penso io. Ho grande rispetto per chi ha fede ma io la fede non ce l'ho, punto. Quello che vorrei sottolineare è che religione e fede io le pongo su piani differenti.
Questo tweet ha suscitato alcune reazioni, non molte, qualcuno lo ha retwittato qualcuno ci ha messo una stellina e un utente che seguo e che stimo per le idee e la creatività dei suoi tweet lo ha commentato, così:

7 gen
figo. Per ogni donna uccisa dal marito facciamola finita con l'amore, dai.

Subito ho pensato di rispondere seriamente, ma mi è piaciuta l'ironia così ho pensato di rispondere che non era la stessa cosa, ma che certo, se dovesse servire.
Ho ragionato su queste parole e ho sviluppato un pensiero che scrivo qui perchè mi servono più di 140 caratteri. Quando dico che non è la stessa cosa, intendo dire che non considero la religione come l'amore, nello specifico. Se proprio dovessi azzardare un paragone paragonerei la religione al matrimonio (anche se naturalmente non tutti gli uomini che ammazzano le loro donne sono sposati). Il punto è che religione e matrimonio sono due invenzioni dell'uomo che sono servite nel tempo a dare delle regole e dei vincoli a tendenze naturali dell'essere umano, l'amore e la fede. L'amore non ha necessariamente bisogno dell'amore e la fede non ha ugualmente bisogno della religione. La fede nasce dalla naturale necessità dell'uomo di affidarsi a un'entità superiore per trovare conforto in ciò che va oltre la sua comprensione e nella sofferenza e in un sacco di altre cose naturalmente. Le religioni sono spesso state strumento nelle mani di pochi uomini per orientare il pensiero e le azioni di molti altri. Ma ci sarebbero troppe cose da dire e io ne volevo dire solo poche, una in particolare;
sì, se dovesse servire facciamola finita anche col matrimonio, ma non con l'amore