Vorrei precisare alcune cose, perchè ho letto un articolo di Salvatore Settis nel quale parla di un libro sul saccheggio dell'archeologia in Italia, che mi ha fatto sentire un po' in colpa riguardo a quello che avevo scritto sull'opportunità di alienare determinate categorie di beni archeologici. Lungi da me l'idea di violare il principio etico e culturale che vuole tali beni, in quanto “testimonianza di civiltà pertinente a contesti non segmentabili” di pertinenza pubblica. La legittima preoccupazione del professor Settis nasce da tentativi compiuti negli ultimi anni e tuttora in corso (l'ultima relazione sarebbe stata presentata in parlamento dall'onorevole della maggioranza Conte, ma anche nel centro sinistra ci sono voci concordi) di applicare un archeocondono, una sorta di sanatoria cioè con la quale chiunque possedesse materiali archeologici di dubbia provenienza potrebbe, denunciandoli, essere istantaneamente assolto da ogni reato e anzi diventarne proprietario pagando un 10% del valore degli oggetti che lui stesso stabilirebbe (grandioso) oppure diventarne depositario mentre lo stato ne resterebbe legittimo possessore, tutto in nome di una presunta volontà di riemersione di materiali archeologici per promuovere studi e beneficiare cittadini esemplari impegnati a raccogliere preziose collezioni all'estero al solo nobile scopo di recuperarle all'Italia . In un contesto del genere, con il condono di reati di ricettazione e acquisto di cose illecite, l'Italia si troverebbe delegittimata e in difficoltà nel pretendere all'estero la restituzione di importanti reperti come avviene da qualche anno da parte di alcuni musei che hanno reso materiali posseduti illegalmente. Il problema è reale e un colpo di spugna del genere sarebbe deleterio. La mia nota era dettata dalla pena, come operatore, di assistere in qualche caso e per vari motivi alla perdita di materiale per esigenze tecniche e logistiche. Io ci patisco, insomma, roba rimasta sotto terra per centinaia o migliaia di anni perduta per sempre, in fondo non vedo, al contrario di Settis, un così grosso rischio nel sapere alcune cose, meno importanti, custodite in salotti o tinelli ma certo non esportate in qualche emirato.
venerdì 24 aprile 2009
"I predatori dell'arte perduta"
Vorrei precisare alcune cose, perchè ho letto un articolo di Salvatore Settis nel quale parla di un libro sul saccheggio dell'archeologia in Italia, che mi ha fatto sentire un po' in colpa riguardo a quello che avevo scritto sull'opportunità di alienare determinate categorie di beni archeologici. Lungi da me l'idea di violare il principio etico e culturale che vuole tali beni, in quanto “testimonianza di civiltà pertinente a contesti non segmentabili” di pertinenza pubblica. La legittima preoccupazione del professor Settis nasce da tentativi compiuti negli ultimi anni e tuttora in corso (l'ultima relazione sarebbe stata presentata in parlamento dall'onorevole della maggioranza Conte, ma anche nel centro sinistra ci sono voci concordi) di applicare un archeocondono, una sorta di sanatoria cioè con la quale chiunque possedesse materiali archeologici di dubbia provenienza potrebbe, denunciandoli, essere istantaneamente assolto da ogni reato e anzi diventarne proprietario pagando un 10% del valore degli oggetti che lui stesso stabilirebbe (grandioso) oppure diventarne depositario mentre lo stato ne resterebbe legittimo possessore, tutto in nome di una presunta volontà di riemersione di materiali archeologici per promuovere studi e beneficiare cittadini esemplari impegnati a raccogliere preziose collezioni all'estero al solo nobile scopo di recuperarle all'Italia . In un contesto del genere, con il condono di reati di ricettazione e acquisto di cose illecite, l'Italia si troverebbe delegittimata e in difficoltà nel pretendere all'estero la restituzione di importanti reperti come avviene da qualche anno da parte di alcuni musei che hanno reso materiali posseduti illegalmente. Il problema è reale e un colpo di spugna del genere sarebbe deleterio. La mia nota era dettata dalla pena, come operatore, di assistere in qualche caso e per vari motivi alla perdita di materiale per esigenze tecniche e logistiche. Io ci patisco, insomma, roba rimasta sotto terra per centinaia o migliaia di anni perduta per sempre, in fondo non vedo, al contrario di Settis, un così grosso rischio nel sapere alcune cose, meno importanti, custodite in salotti o tinelli ma certo non esportate in qualche emirato.
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