Ogni anno che passa ci allontana sempre di più dagli eventi spaventosi che videro l’annientamento di milioni di persone, perpetrato da criminali che intendevano cancellare dalla faccia della terra un’intera razza. Tullia Zevi non fu testimone diretta di ciò che avveniva nei campi di sterminio, fortunatamente l’esilio successivo alle infami leggi razziali volute dai fascisti le salvò la vita che poi dedicò alla conservazione dell’anima dell’ebraismo italiano e del suo grande passato con (citando le parole del Presidente Napolitano) “alto impegno civile e squisita umanità e cultura”. La sua scomparsa, come quella di tanti altri protagonisti di quella generazione di scampati, rappresenta purtroppo lo spegnimento di un’altra luce che illuminava e teneva in vita la memoria diretta di quello che fu. E’ fisiologico, è la vita. Presto nessuno potrà testimoniare direttamente ciò che è stato. Resteranno i documenti, le foto i filmati, i libri, i film, ma conservare la memoria sarà sempre più difficile. Paradossalmente di fronte all’aumentare ogni anno di eventi dedicati alla memoria sembra diminuire sempre di più la consapevolezza della realtà dello sterminio e d’altra parte aumentano anche le voci deliranti di chi porta acqua al mulino della negazione; basta farsi un giro sulla rete per rendersene conto. Viviamo in un mondo che viaggia molto veloce e tende a dimenticare con grande rapidità avvenimenti anche molto più recenti di 70 anni fa. Le opinioni e la memoria della gente sono facilmente manipolabili, anche di fronte a fatti che paiono incontrovertibili. I patetici fatti che avvengono in questi giorni nel nostro povero paese ne sono un po’ un esempio. La realtà si può trasformare con una certa facilità e niente niente qualcuno un giorno non lontano potrebbe pure raccontarci seriamente che in fondo i nazisti erano benefattori, nei campi di concentramento non succedeva niente di spaventoso e la gente vi era trattenuta soltanto per preservarla dagli orrori della guerra.
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