lunedì 27 gennaio 2014

L'Inferno di Dante era uno scherzo

Al netto di tutta la retorica che viene riversata ogni anno in occasione di questa giornata, delle candeline accese, delle visite ai luoghi della memoria, dei passaggi televisivi di film iconici,ma in qualche modo filtrati o depurati dalla necessaria finzione narrativa, continuo a pensare che le parole dei testimoni sopravvissuti all'esperienza spaventosa e razionalmente indescrivibile della Shoah, lette o ascoltate rappresentino ancora e sempre la forma più efficace di trasmissione della memoria. Secondo Rachel Ertel, una delle più importanti studiose viventi di cultura ebraica e yddish la scrittura dei sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti è “insieme un doloroso sforzo di anamnesi e di veggenza che mescola ricordi reali e immaginari al mai visto e al mai detto”. Primo Levi aveva scritto che loro, i sopravvissuti, altro non fossero che falsi testimoni; i veri di quell'esperienza non potevano essere che i morti. Questa sua frase è una di quelle che fanno gioco ai negazionisti, a coloro che continuano a gettare l'ombra del sospetto e ad avvolgere in una cortina di fumo quegli eventi sempre più lontani. Ma d'altra parte lo stesso Levi sapeva perfettamente che solo i vivi possono testimoniare e lui stesso non avrebbe scritto le pagine che ha scritto se fosse stato davvero convinto di essere un falso testimone. Primo Levi visse la sua vita dopo quell'esperienza tormentato dalle ombre, forse dallo stesso senso di colpa provato da molti di quelli che non seppero dare risposta alla domanda “perchè io no”. La sua fine tragica è l'evidenza di qualcosa che chi non ha vissuto quell'esperienza non può neppure immaginare. La verità è che in un vicinissimo futuro non esisterà più una memoria personale dei campi e nessuno potrà più ascoltare la voce diretta di qualcuno che descrive l'orrore delle baracche, delle infermerie, del lavoro nei campi, dell'odore di morte percepibile a chilometri di distanza dai forni crematori, della cenere che pioveva dai camini. Probabilmente allora solo la finzione narrativa, letteraria o cinematografica sarà in grado di perpetuare la memoria, con tutti i rischi che ne conseguono. Ma a prescindere dalle distorsioni che un simile trauma possa aver provocato sulla mente di chi ne è stato protagonista e sulla sua memoria poche cose sono efficaci come il racconto di un'esperienza diretta, come quella per esempio che vissero i sopravvissuti agli esperimenti del dottor Mengele ad Auschwitz. I nazisti videro in Auschwitz un luogo perfetto per esperimenti sugli esseri umani, nessun limite etico, nessuna responsabilità. La personalità di Mengele, appassionato al mistero dei gemelli e affascinato dall'idea di essere padrone della vita delle persone, impersona perfettamente la crudeltà che fu nutrita dalla mistica della razza superiore ariana. Joseph Mengele morì in Brasile nel 1979 da uomo libero senza aver mai pagato per le sue colpe e ancora fedele al suo credo nazista. Nel 1985 fu processato in contumacia in Israele senza ancora che si sapesse che era già morto, in quella occasione fu possibile ascoltare direttamente le testimonianze di alcuni sopravvissuti ai suoi esperimenti. Ne citerò solo un paio.
Elena Hammeresh arrivò ad Auschwitz dall'Ungheria nel dicembre del 1943, queste le sue parole: “Mengele era solito venire ogni tanto alla baracca dei gemelli, prenderne una coppia e, con un pretesto, portarla direttamente al forno crematorio. Qui li uccideva con iniezione di fenolo al cuore. Squartava poi il loro corpo ancora caldo e immergeva gli organi in sostanze chimiche che poi spediva in Germania alle università. Mengele fece degli esperimenti sugli occhi dei bambini. Oltre alle gocce, che egli inoculava loro regolarmente, fece delle iniezioni direttamente nelle pupille. I bambini sottoposti a questi trattamenti persero la vista e morirono quasi tutti. Gli occhi venivano poi asportati e inviati in Germania (…) Le ricerche di Mengele riguardavano la genetica ereditaria e avevano lo scopo di scoprire il modo di riprodurre e moltiplicare la razza ariana, per questo faceva esperimenti sui gemelli.”
Vera Kriegel arrivò ad Auschwitz all'età di cinque anni nel 1943:
Mengele ci fece mettere da parte perchè vide che poteva fare su di noi degli esperimenti. Camminavamo senza sapere dove stavamo andando. Ero molto confusa. Ero molto piccola. A un certo punto vidi una grande buca dove ardeva del fuoco, dove buttavano i bambini piccoli che erano stati strappati alle loro madri. Li gettavano vivi nelle fiamme. Le SS rompevano i crani dei bambini con il calcio dei fucili e facevano a pezzi i cadaveri come se fossero polli. Io vidi tutto questo con i miei occhi. Quando vidi le fiamme pensai di essere morta, forse all'inferno, circondata da fantasmi, pensai di essere in uno zoo. Ero una bambina piccola, confusa, non piansi.
Lo sterminio degli ebrei d'Europa è stato qualcosa di enorme, indescrivibile, ma di cui non mancano tracce e memoria. Ecco, io spero che tutti quelli che oggi scriveranno generici messaggini di ricordo, partecipazione e solidarietà non si limitino a questo, ma si informino, leggano, ascoltino e che lo facciano sempre. La memoria è una pianta che avvizzisce rapidamente se non coltivata con cura.

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